2011, la nostra primavera araba

In Italia, troppo spesso si tende a mettere in secondo piano – se non ad ignorare del tutto – l’effetto della politica estera su quella interna.
E’ troppo comune sentire i 45 anni di governo della DC descritti solo come una lunga puntata di Don Camillo e Peppone, di preti e borghesi contro studenti braccianti e operai. Come se il bipolarismo del sistema interno non fosse stato un riflesso necessario di quello del sistema globale, in un paese che si poneva proprio sulla faglia tra il mondo socialista (pur con le sue divisioni interne) e quello democratico (anch’esso con le sue divisioni interne).
O di Mani Pulite come un processo uscito dall’iperuranio, dalle felici intuizioni – guarda caso, avvenute proprio in concomitanza con il crollo del sistema bipolare – della Procura di Milano, con conseguente rinnovamento del sistema politico sull’onda dell’entusiasmo popolare per la lotta alla corruzione, al clientelismo e agli sprechi della prima repubblica. Un’infelice coincidenza che questo processo sia stato accompagnato dalle stragi della “Falange Armata”, attribuite – nella versione ufficiale e maggioritaria – ad una disputa del tutto interna tra Stato e Mafia, e a nient’altro.

Questo è quasi inspiegabile in un paese come il nostro, la cui stessa nascita fu pesantemente influenzata dalle esigenze geopolitiche di grandi potenze come quella britannica. Certo, il sentimento nazionale italiano esisteva – così come esisteva una nazione italiana, e forse la storia avrebbe marciato comunque verso un’unificazione – ma quanto sarebbero andate lontano le trame avventuristiche dei Savoia, Cavour, Garibaldi e Bixio senza i finanziamenti della Corona, l’influenza della massoneria di rito scozzese, il blocco navale britannico del porto di Marsala? Chissà se senza l’esistenza di quelle particolari condizioni geopolitiche – definite dal bisogno inglese di garantire il balance of power nel continente e strappare un’ancora cruciale della rotta per le colonie asiatiche al controllo degli infidi Borbone – l’Italia non sarebbe rimasta un Kurdistan qualsiasi, o una penisola balcanizzata?

Nella media potenza italiana, oscillante tra la condizione di ago della bilancia e pedina di grandi potenze straniere, difficilmente un cambio di regime può avvenire per ragioni solamente interne. Diventa addirittura impossibile dopo la seconda guerra mondiale, quando l’Italia – che, giova ricordarlo, è stata sconfitta ed occupata – si trova ad essere parte di una catena di comando euroatlantica di cui spesso e volentieri si scopre l’ultimo anello, certamente sotto agli Stati Uniti – che in una prima fase “chiedono” relativamente poco, solo una convinta adesione alla competizione bipolare, consentendo ampi spazi di manovra e di guadagno – ma anche sotto inglesi e francesi, che nel Belpaese seguono disegni molto più ambiziosi, relativi alla competizione nel Mediterraneo e al controllo delle risorse. E in seguito, ad un’Unione Europea (che Brzezinski definisce una “testa di ponte” della potenza americana in Eurasia) guidata da Berlino, in cui – quantomeno inizialmente – i gretti interessi del mercantilismo tedesco, privi di visione a lungo termine, si scoprono complementari alla grande strategia geopolitica americana.

Lo stravolgimento politico del 2011, che pensatori molto più illustri di chi vi scrive – Edward Luttwak e Jurgen Habermas – descrivono come un vero e proprio golpe, non fa eccezione.

Il protagonista è Silvio Berlusconi, scomparso pochi giorni fa a Milano, l’uomo politico più importante di tutta la seconda repubblica. Un personaggio estremamente polarizzante, controverso, ambiguo: come tutti i grandi uomini politici della storia italiana.

Questo è anche un tentativo di esplorare la sua figura dal punto di vista geopolitico – per quanto sia possibile farlo in così poche righe – raccontando quello che è di fatto il suo tramonto definitivo come figura di primo piano del panorama politico italiano.

Il governo Berlusconi IV

LE PRIMAVERE ARABE

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Il contesto internazionale – per meglio dire, regionale – in cui si incorniciano gli eventi del 2011 è quello delle primavere arabe. Non occorre dilungarsi: una crisi alimentare, unita alla crisi d’identità che vivono i regimi arabi – crollata l’URSS, fallito il panarabismo, entrato in auge l’islam politico – offrono il terreno fertile per un terremoto politico in tutto il mondo arabo, che le potenze interessate ed in grado di agire sono decisamente desiderose di sfruttare in modo conforme ai loro interessi.

In questo caso la posizione dell’Italia è molto particolare: non ha molto interesse nella “distruzione creativa” che si sta per scatenare nella regione, e si trova di fatto a giocare in difesa insieme all’ordine costituito del mondo arabo. Quella mediterranea è una regione che Roma è riuscita – con molte difficoltà, anche a costo della vita di servitori dello stato come Enrico Mattei – a plasmare in suo favore nel corso della guerra fredda, tramite un’azione persistente che ha saputo sfruttare sia le necessità dell’egemone americano – far sì che l’anticolonialismo, che pareva inarrestabile, non desse sempre vita a regimi filosovietici – sia talvolta intese tattiche con i suoi nemici: l’URSS, l’Iran di Mossadeg e poi degli ayatollah, il nazionalismo arabo più estremista.

A scapito di chi? Principalmente di Gran Bretagna e Francia, impantanate in guerre coloniali di retroguardia – mal sopportate anche dagli USA – e in competizione con l’Italia per le ingenti risorse energetiche della regione. Ora Londra e Parigi hanno dalla loro parte Washington, che vuole finalmente liberarsi di regimi scomodi – se non apertamente ostili – per perseguire il suo sogno unipolare. Intendono sfruttare al massimo l’opportunità.

In quest’ottica l’Italia di Berlusconi risulta anch’essa un regime scomodo di cui liberarsi, per Washington, come per Londra e Parigi.

Il Cavaliere non è certo un crociato antiamericano, e la sua stagione di governo ha inaugurato una politica filo-israeliana del tutto inedita, molto ben vista da Washington, oltre ad un sostegno alla guerra in Iraq del 2003 vitale dal punto di vista politico, se messo in contrasto con la dura opposizione della Germania di Schroder e della Francia di Chirac. E’ pur sempre un (ex?) iscritto alla loggia P2, che è stata al centro di molte trame eversive del partito del golpe, ed un imprenditore ben collegato con la finanza mondiale, quindi statunitense e britannica.

Rimane però un personaggio ambiguo ed inaffidabile, delfino di quel Bettino Craxi che è stato il principale obiettivo di Mani Pulite, l’offensiva giudiziaria della Procura di Milano – che lavora a stretto contatto con il consolato statunitense di Milano, frequentato assiduamente da Di Pietro prima e durante gli eventi – che ha sgombrato il campo dalla fastidiosamente indipendente classe politica della prima repubblica.
I rapporti del suo governo con la Libia di Gheddafi, la Tunisia di Ben Ali, l’Algeria di Bouteflika e l’Egitto di Mubarak sono troppo stretti. Preoccupa anche l’intesa con la Russia che – se dieci anni prima era funzionale a Washington, in ottica di congagement di un paese che si sperava potesse essere integrato in modo indolore nel quadro unipolare americano – ora rappresenta un pericolo, quando un rapporto molto più ostile con Mosca – segnato dalle diatribe nucleari e dalla guerra in Georgia – potrebbe portare ad un coinvolgimento russo in diretta opposizione ai disegni americani ed anglofrancesi nella regione, specialmente se questo coinvolgimento trovasse una sponda in un importante paese mediterraneo ed europeo come l’Italia.

Un cambio di regime nella regione quindi deve passare da un cambio di regime in Italia: per gli USA è “sufficiente” che l’Italia non si opponga ad una radicale riorganizzazione del mondo arabo – magari intendendosi con la Russia – per Francia e Gran Bretagna è ugualmente importante che l’Italia rimanga esclusa anche dal successivo ordine mediterraneo, che Londra e Parigi vogliono (ri)plasmare in proprio favore dal punto di vista energetico, economico e strategico.

Gli attacchi che colpiranno il governo Berlusconi IV e porteranno alla sua caduta – oltre alla sua incapacità di agire con forza nel mediterraneo, finché rimane in piedi – avverranno su più fronti: giudiziario, mediatico, politico, economico. Tutti, in qualche modo, riconducibili a centri di potere stranieri. In particolare britannici ed americani.
E’ proprio la Procura di Milano ad aprire uno dei “fronti” più significativi di questa offensiva concertata, quando il 21 dicembre 2010 Berlusconi viene iscritto nel registro degli indagati per concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile. Iniziano i famosi processi Ruby, e le – ancora più note – continue fughe di notizie e di intercettazioni, che compariranno regolarmente in televisione e sulla carta stampata.

Appena 4 giorni prima, il fruttivendolo Mohamed Bouazizi si era immolato a Tunisi, facendo scoppiare la scintilla delle primavere arabe, un incendio che divamperà in tutta la regione in modo quasi inarrestabile.

Da questo momento in poi, il declino del governo Berlusconi seguirà di pari passo l’evoluzione delle primavere arabe: il Presidente del Consiglio salirà al Colle per dare le dimissioni il 12 novembre, appena un mese dopo l’uccisione di Gheddafi.

Berlusconi e Mubarak. L'intesa tra Roma e i regimi socialisti arabi in Egitto si salda proprio nel 1956, quando UK, Francia e Israele muovono guerra verso il Canale di Suez.
Berlusconi e Mubarak. L’intesa tra Roma e i regimi socialisti arabi in Egitto si salda proprio nel 1956, quando UK, Francia e Israele muovono guerra verso il Canale di Suez.

FUOCO ALLE POLVERI

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L’11 gennaio 2011 la Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la norma sul legittimo impedimento, una legge approvata dalla maggioranza pochi mesi prima per mettere al riparo dai processi Berlusconi e altri membri del governo, parte di quel processo di “controrivoluzione” tentata dall’erede di Craxi contro quella magistratura che era entrata prepotentemente nell’agone politico con l’inchiesta Mani Pulite.

Il 14, la Procura di Milano rende nota con un comunicato stampa l’iscrizione del PDC nel registro degli indagati del processo Ruby, catapultando la vicenda sui media nel giorno in cui – a Tunisi – viene deposto Ben Ali, salito al potere 24 anni prima con un “golpe morbido” facilitato dal SISMI ed ordinato da Craxi ed Andreotti, che aveva spodestato il filo-francese Bourguiba e prevenuto una trama golpista parallela del partito islamista Ennahada – legato a quella Fratellanza Musulmana che sempre più diventerà legata agli interessi britannici – che proprio nel 2011 prende il potere dopo le prime elezioni in Tunisia.

Il 20 avviene il primo grande episodio mediatico del processo Ruby, quando l'”olgettina” Nadia Macrì viene intervistata nella trasmissione “Annozero” di Michele Santoro, davanti a milioni di telespettatori su Rai 2, trasmissione che metterà sotto la luce della ribalta giornalisti e opinionisti che poi graviteranno intorno al M5S, come Marco Travaglio, Vauro Senesi e Sandro Ruotolo. La trasmissione – un tuffo scabroso nella vita privata del PDC, che di fatto paralizzerà l’azione del governo nei mesi successivi – è fortemente voluta dal Presidente della Rai Paolo Garimberti, che si è speso in una battaglia contro Berlusconi – e contro i suoi uomini nella Rai – per riportare Santoro nel servizio pubblico, dopo il suo allontanamento nel 2002.

Da dove proviene Garimberti, nominato Presidente della Rai nel 2009? Da una lunga collaborazione con il gruppo Repubblica-Espresso e con la CNN Italia. Garimberti stesso compare in una lista dell’Information Research Department – l’ufficio di propaganda britannica durante la guerra fredda – negli anni ’50.
Ma ancora più illuminante potrebbe essere un excursus sulla storia del gruppo editoriale da cui proviene.

Nadia Macrì intervistata da Sandro Ruotolo
Nadia Macrì intervistata da Sandro Ruotolo

IL GRUPPO REPUBBLICA-ESPRESSO

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La Società Editrice L’Espresso nasce nel 1955 su iniziativa di una nostra vecchia conoscenza: Edgardo Sogno, il diplomatico che dal ’43 al ’45 gestisce la “Franchi”, un’organizzazione di collegamento tra i servizi britannici ed elementi deviati dalla Repubblica Sociale – come la X Mas di Junio Borghese – reclutati per combattere contro i partigiani comunisti. L’uomo che nel ’65 sarà anfitrione del “Convegno del Parco dei Principi” sulla “guerra rivoluzionaria“, definito “inquietante” da Andreotti, che è possibile ritenere la fondazione del partito del golpe e della tensione che paralizzerà l’Italia con stragi non rivendicate e trame eversive nei decenni successivi. Sogno è stato anche il faccendiere che ha organizzato la nuova proprietà del Corriere della Sera con la reintroduzione della libertà di stampa in Italia, per conto dello Psychological Warfare Branch del governo militare anglo-americano.

Il finanziatore del gruppo invece sarà l’imprenditore Adriano Olivetti, anch’egli un uomo chiave dei servizi britannici durante la guerra: facendo la spola tra la Svizzera e l’Italia, agisce per conto del SOE (lo Special Operations Executive, per cui lavora anche Sogno) come ufficiale di liason con il partito filo-britannico all’interno del fascismo, della monarchia e delle forze armate, prima del 1943. Olivetti studia e contatta alcune delle figure chiave che saranno protagoniste del golpe contro Mussolini, come Emilio De Bono, Dino Grandi, Pietro Badoglio e la famiglia reale.

Appena 2 anni dopo, Olivetti cederà la sua quota di maggioranza – gratis, con la certezza che “non avrebbe mai fatto cose sconvenienti” – al principe italo-americano Carlo Caracciolo – già inserito nel mondo dell’editoria – e ad Eugenio Scalfari. La proprietà poi si fonde con quella di Mondadori, anche questa una casa editrice che ha legami con i britannici già prima della caduta del fascismo: il suo Direttore Generale, Luigi Rusca – che affianca Arnoldo Mondadori dagli anni ’20 fino al 45, quando sarà incaricato dal PWB di riorganizzare la RAI – è un altro dei contatti del SOE che si muovono tra Italia e Svizzera per organizzare il cambio di regime che avverrà nel 43.

Negli anni ’90 il gruppo è oggetto di una contesa personale – il cosiddetto “lodo Mondadori” – tra Berlusconi e Carlo De Benedetti, che con le rispettive holding stanno tentando una scalata ostile del gruppo: la mediazione di Carlo Caracciolo e Giuseppe Ciarrapico infine assegnerà il gruppo Repubblica-Espresso a De Benedetti, lasciando a Berlusconi altre parti della Mondadori, ed una faida personale con il nuovo proprietario.

Difficile dire – a così pochi anni dai fatti – se nella campagna mediatica che paralizzerà il governo Berlusconi IV nel 2011, di cui il gruppo Repubblica-Espresso sarà protagonista sia sulla carta stampata che tramite i suoi uomini in Rai (e su La7, dove Gad Lerner conduce “L’Infedele) abbia pesato di più il contrasto personale tra De Benedetti e Berlusconi, o invece quel fil rouge che collega il gruppo ai servizi segreti della Corona, tramite Caracciolo, Olivetti e Sogno. Ma il secondo non è un aspetto che può essere trascurato.

In questo volume, Cereghino e Fasanella ricostruiscono minuziosamente – attraverso una rigorosa ricerca nelle fonti primarie – la penetrazione britannica nei media italiani.

L’INTERVENTO IN LIBIA

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E’ mentre pende la spada di Damocle del processo Ruby, che gli scontri in Libia – diversamente da quelli in Algeria, spentisi a febbraio – degenerano in una vera e propria guerra civile. Dopo un periodo di tentennamento, le forze leali a Gheddafi rispondono con una controffensiva. Siamo a marzo, il 17 si riunisce il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere una risoluzione.

Chi si oppone ad un intervento militare in seno al CDS è la Russia, che però – forse anche per la mancanza di sponde da parte di un Berlusconi stordito dai problemi interni, ed una Merkel che si defila aumentando il contingente tedesco in Afghanistan per liberare truppe NATO – non mette il veto, accettando una risoluzione che impegni a stabilire una no-fly zone, e a proteggere i civili con un cessate il fuoco.

Putin sosterrà in seguito di essere stato “tradito” – l’esperienza peraltro darà vita alla (non) dottrina Gerasimov – avendo accettato un cessate il fuoco e non un cambio di regime in Libia, ma poco importa: a poche ore dal “via libera” i jet americani, francesi e britannici prendono il volo, iniziando immediatamente a colpire le forze di terra dell’esercito libico.

L’Italia si unisce alla spedizione punitiva più di un mese dopo, su pressione del Presidente della Repubblica Napolitano al governo, e forse anche per paura che un intervento solo americano, britannico e francese avrebbe escluso del tutto l’Italia dal futuro ordine libico.

A suo credito, in questi giorni il governo – che ha agito in modo molto pavido sul dossier libico – sta tentando di disinnescare un altro attacco contro l’Italia: il referendum sul nucleare calendarizzato per giugno, promosso dall’Italia dei Valori di Di Pietro, il magistrato di Mani Pulite che fece la spola con il consolato statunitense.

Sortita della NATO in Libia, 2011
Sortita della NATO in Libia, 2011

Il 30 marzo la maggioranza approva una moratoria sull’energia nucleare, il cui obiettivo tattico è far mancare il quorum al referendum, spegnendo i bollenti spiriti di un’Italia in isteria per l’incidente nucleare di Fukushima, isteria che Di Pietro e le associazioni ambientaliste (italiane e non) stanno cavalcando. Un referendum che include anche la bocciatura del legittimo impedimento – diventata obsoleta dopo la dichiarazione di incostituzionalità della norma – e un quesito sulla privatizzazione dell’acqua, il naturale decorso delle privatizzazioni di inizio anni ’90 (avvenute parallelamente a Mani Pulite e alle bombe della Falange Armata).

La campagna contro la Libia di Gheddafi prosegue, ma il suo esito non è ancora del tutto certo: si materializzerà in estate, quando l’intensità della pressione su Roma raggiungerà i massimi.

I PROCESSI A OROLOGERIA

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Prima dell’estate, inizia l’attacco speculativo contro i titoli di stato italiani, con lo spreadil differenziale di interesse tra BTP e Bund tedeschi – che si alzerà di 120 punti a luglio, dando inizio alla catena di eventi che concretamente porterà alla fine del governo Berlusconi IV.

Ma in primavera, la difficile posizione del governo viene ulteriormente aggravata da due nuovi (e vecchi) processi, entrambi stranamente legati alla Gran Bretagna.

A marzo, dopo due anni di fermo, riparte il “processo Millis“, che coinvolge direttamente Berlusconi. E’ un processo che pende come una spada di Damocle dal 1999, attivato quando David Millis – figlio di un agente dell’MI5 e referente della Fininvest per il Regno Unito – racconta in un memoriale al suo avvocato di tangenti pagate dalla holding della famiglia di Berlusconi, facendo partire le indagini dei magistrati britannici e – in seguito – della Procura di Milano.

A giugno, inizia il “Processo P4” – dal nome molto evocativo – che vede al centro Alfonso Papa, deputato campano del PDL, accusato di essere a capo di un “sistema informativo parallelo” in grado di causare continue fughe di notizie dalle indagini giudiziarie. Il processo è intentato dal procuratore – dal nome molto pittoresco – Henry John Woodcock, nato nel Regno Unito da madre napoletana e padre insegnante di lingue all’Accademia Navale di Livorno, resosi protagonista negli anni di molti processi dal forte impatto mediatico, ma dal debole impianto giuridico.

Entrambi questi processi spariranno nel nulla nel 2012 – dimostratosi infondato l’impianto probatorio contro Berlusconi – ma ormai finita l’esperienza da premier del Cavaliere, e stravolto il quadro geopolitico del Mediterraneo.

Per mettere in contesto quanto sta avvenendo, è utile tornare indietro di quasi 60 anni, ad un episodio che ha delle grosse similitudini con quello in esame.

Differenziale BTP-BUND 10Y nel 2011, mese per mese. Fonte: investing.com
Differenziale BTP-BUND 10Y nel 2011, mese per mese. Fonte: investing.com

LA “MACCHINA DEL FANGO” CONTRO DE GASPERI

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Parliamo della caduta del governo De Gasperi VIII – avvenuta il 17 agosto 1953 – mentre negli stessi giorni ha successo in Iran l’Operazione Ajax, un colpo di stato anglo-americano contro il primo ministro Mossadeg, reo di aver nazionalizzato il petrolio iraniano a spese della Anglo-Persian Company. De Gasperi è colpevole di aver sostenuto l’ENI di Enrico Mattei – ed altre importanti imprese nazionali – nella rottura dell’embargo imposto dalla Corona nei confronti dell’Iran, nonostante i ripetuti avvertimenti del Governo di Sua Maestà.

Anche in questo caso, l’offensiva scandalistico/giudiziaria avverrà su due fronti, entrambi riconducibili a Londra, entrambi sgonfiati dopo la caduta di De Gasperi e rivelatisi completamente falsi.

Il primo è la “rivelazione” del Candido – un settimanale scandalistico – secondo cui il Presidente del Consiglio e Segretario della DC avrebbe richiesto al comando alleato – in tempo di guerra – il bombardamento di Roma, per sobillare il movimento partigiano in città. De Gasperi si rivolge immediatamente a Londra, inviandovi un suo emissario personale per ricevere una smentita diretta dal comando militare britannico. Il Ministero della Difesa temporeggia e fornisce solo vaghe smentite, ma nel mentre si scopre chi è l’ufficiale che – secondo il Candido – avrebbe ricevuto la richiesta da De Gasperi: tale Bonham Carter, adesso lavora come dirigente della Unilever, la potente multinazionale di Sir Laurence Hayworth, che proprio quell’anno è stato uno degli “8 saggi” del Comitato Drogheda, iniziativa nata su richiesta di Winston Churchill per riorganizzare la propaganda britannica all’estero dopo la seconda guerra mondiale. La smentita scritta arriverà, ma solo dopo che De Gasperi avrà perso il sostegno in parlamento dei partiti di centro – quelli, non a caso, più legati a Londra – con diversi esponenti emersi nelle liste dell’Information Research Department, il servizio di propaganda coperta britannica.

Alcide De Gasperi e Winston Churchill a Londra
Alcide De Gasperi e Winston Churchill a Londra

SCANDALO MONTESI

Il secondo prende invece di mira il delfino di De Gasperi – Attilio Piccioni – mentre tenta senza successo di formare un governo nello stesso agosto del ’53. Si tratta della morte misteriosa di Wilma Montesi, una donna trovata senza vita per le strade di Roma. Il memoriale di una giovane ragazza, Maria Augusta Moneta Caglio Besser d’Istria – per gli amici Anna Maria – individua come responsabile dell’omicidio Sergio Piccioni, figlio di Attilio.
Anche questa storia si dimostrerà falsa, ma solamente dopo le dimissioni di Piccioni senior. “Anna Maria”, negli anni racconterà di essere stata manipolata ed istruita da Alessandro Dall’Olio, vice-provinciale dell’Ordine dei Gesuiti di Roma. Gesuiti che agiscono da secoli – e durante la seconda guerra mondiale – come servizio segreto del Vaticano, dove referente è il Segretario di Stato, Arcivescovo Montini (futuro Papa Paolo VI) anch’egli figurante al tempo nelle liste dei clienti dell’IRD, nonché impegnato in un tentativo di riconciliazione tra la Chiesa Cattolica e quella Anglicana, tramite una fitta corrispondenza con l’Arcivescovo di Canterbury.

L’ostilità degli inglesi a De Gasperi in questo caso si fonde con quella del Vaticano: De Gasperi ha smesso di prendere ordini direttamente dal Papa in occasione delle amministrative di Roma, quando ha rifiutato di collaborare con MSI e monarchici, essendo più incline ad un’apertura a sinistra della DC che allo spostamento a destra per cui spinge la Santa Sede.

Dopo la “caduta” di De Gasperi, inizierà la breve stagione dei governi di destra della DC, presieduti prima da Pella e poi da Segni, molto più affini agli interessi britannici.

Anche in questo caso, la fonte è la ricerca archivistica di Fasanella

ATTACCO SPECULATIVO

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E’ nei mesi di luglio e agosto che tutti i nodi vengono al pettine, e le vicende arabe, giudiziarie, finanziarie si incrociano in modo drammatico.

La crisi del debito viene innescata dal declassamento dei titoli di stato italiani da parte di Standard & Poors l’1 luglio, a mercati aperti (ricordiamo en passant che il rating statunitense è rimasto AAA a poche ore da un default annunciato) con uno spread che viaggia dai 150 ai 180 da inizio anno. A fine mese, chiuderà a 340 punti.

Il 16 luglio – mentre le milizie ribelli avanzano su Tripoli, capitale della Libia – si apre ufficialmente la crisi di governo, quando la Lega Nord di Bossi vota in dissenso con la maggioranza, autorizzando l’arresto di Alfonso Papa richiesto da Woodcock. Bossi però va oltre, lanciando sulla scena politica l’uomo destinato a prendere le redini del paese dopo Berlusconi: chiede la formazione di un governo tecnico guidato da Mario Monti, professore della Bocconi e protagonista già negli anni ’80 delle pesanti riforme che cambieranno lo stato italiano. E’ la seconda volta che questo avviene: già nel ’94 la Lega ha invitato Monti a formare un governo, dopo aver provocato la caduta del Berlusconi I.

Se si crede alle rivelazioni che Fabrizio Gatti sostiene di aver ricevuto da un agente della CIA in Italia – raccontate in “Educazione Americana” – nel ’94 Bossi agì su impulso dei servizi americani, da cui aveva ricevuto notizia di uno scandalo che stava per investire la maggioranza, relativo al tesoro di Craxi nei conti esteri. Già in passato, in effetti, i servizi angloamericani avevano puntato su disegni secessionisti – come era quello leghista all’inizio degli anni ’90 – mantenendo contatti con il separatismo siciliano durante la seconda guerra mondiale, intendendo di usarlo come “piano B”, o come strumento per influenzare l’Italia tutta. Quel separatismo in cui sguazzavano la Mafia – strumentale in due sbarchi in Sicilia: quello di Garibaldi e quello degli alleati – e il neo-banditismo di Salvatore Giuliano, esecutori materiali della strage di Portella della Ginestra e – negli anni ’90 – delle stragi della Falange Armata, i cui mandanti Falcone individuerà in “menti raffinatissime” di rango ben superiore ai mafiosi siciliani semi-analfabeti.

La crisi di governo verrà placata .- per il momento – con l’accelerazione del decreto legge sul federalismo fiscale e con l’apertura di diverse sedi distaccate di Ministeri dello stato a Monza. Ma il nome di Monti è ormai sulla bocca di tutti.

Il 3 agosto – con lo spread stabilmente sopra 300 – il Financial Times di Londra attacca duramente il governo e in particolare il Ministro Tremonti, definendolo “un povero esempio per gli italiani“. Lo stesso giorno il Financial Times Deutschland propone Monti come futuro presidente del consiglio, definendolo “asciutto, minuzioso, ligio alle regole e un po’ rigido, tutte le qualità che mancano a Berlusconi“.

Due giorni dopo, interviene Mario Draghi – governatore in pectore della BCE – come? Con un bazooka finanziario, con un whatever it takes consistente in un massiccio piano di acquisto titoli? No, con una lettera (in teoria riservata) di diktat scritta a 4 mani con il governatore uscente Trichet, di cui il Corriere della Sera conoscerà immediatamente il contenuto. Quel Corriere della Sera il cui orientamento anglofilo è stato assicurato da Edgardo Sogno dopo la seconda guerra mondiale, e che già un secolo prima – diretto da Albertini, uno degli uomini più importanti dell’Italia liberale – guidò la campagna mediatica per l’intervento nella prima guerra mondiale a fianco delle potenze dell’Intesa. Lo stesso Corriere della Sera che il 9 agosto pubblicherà un agghiacciante editoriale di Mario Monti, che dichiarerà di vedere “tutti i vantaggi di certi vincoli esterni, soprattutto per un paese che quando governa da se, è poco incline a guardare agli interessi dei giovani e delle future generazioni“. Quali vincoli esterni? Monti si riferisce alla manovra straordinaria di austerity approvata dal governo appena dopo la lettera di Draghi, affermando che “le forme [della democrazia] sono salvemale decisioni principali sono state prese da un governo tecnico sopranazionale, con sedi sparse a Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York“.

Di quel “governo tecnico sopranazionale” si sono fatti portavoce il Financial Times, Standard & Poors, il Corriere della Sera e quel Mario Draghi che – 19 anni prima – saliva a bordo del Panfilo Britannia – lo yacht della famiglia reale inglese – per promuovere insieme ai maggiori esponenti della finanza londinese il programma di selvagge privatizzazioni del para-stato italiano. Ricordiamone soltanto una, relativamente piccola ma emblematica: la cessione dell’olio Bertolli alla Unilever – tramite l'”acquirente fantasma” della Fisvi – da parte dell’IRI di Romano Prodi, nel 1993. Prodi, che appena tre anni prima era Advisory Director di Unilever PLC, il colosso britannico che Churchill individuò nel 1953 come uno dei pilastri delle operazioni di influenza britanniche all’estero.

Tutto questo avviene mentre le milizie ribelli conquistano Tripoli, e il governo cerca di barcamenarsi per fornire un pacchetto di aiuti finanziari al Consiglio Nazionale di Transizione, il nuovo (ma destinato a durare poco) governo del paese. La drammatica crisi finanziaria e politica però paralizza l’operato di Roma, che in Libia rimane sempre un passo indietro a britannici e francesi.

Draghi negli anni '90
Draghi negli anni ’90

LA CADUTA

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A settembre la maggioranza (con appoggio dell’opposizione) fa un’ulteriore concessione al “governo tecnico sopranazionale” inserendo il pareggio di bilancio in costituzione, ma non serve a niente: di nuovo, Standard & Poors declassa i titoli di stato italiani, mentre lo scandalo Ruby e il processo Millis continuano ad occupare le pagine dei giornali e il capitale politico del governo. Quel mese lo spread chiude a 408.

A fine ottobre – negli stessi giorni in cui Gheddafi viene catturato e ucciso – il governo approva un nuovo bilancio con ancora più concessioni, rilasciando una dichiarazione di impegni nei confronti dell’Unione Europea. Ma anche questo non serve a niente: ai margini del G8, il 23 ottobre, Merkel – della cui ferrea fedeltà atlantica ci siamo occupati – e Sarkozy deridono Berlusconi davanti ai reporter, affermando di non avere fiducia in lui ma di averne “nell’insieme delle autorità italiane, nelle istituzioni politiche, economiche e finanziarie del paese“. E – nonostante il 4 novembre Berlusconi accetti una “missione di monitoraggio” (una troika alla greca) del FMI – le “istituzioni” risponderanno prontamente, con Napolitano che nominerà Monti Senatore a Vita il 9 novembre.

A poco serve anche l’ultima concessione al “governo tecnico sopranazionale“, con la delegazione italiana che approva il “six pack” – un irrigidimento delle regole fiscali dell’UE – in sede di Consiglio Europeo l’8 novembre. Lo spread tocca il picco di 574 punti. Il governo non ha più una maggioranza, e il 12 Berlusconi sale al colle da Napolitano, annunciando le sue dimissioni e chiedendo il supporto dell’opposizione per approvare la manovra finanziaria.

Merkel e Sarkozy rispondono alla domanda su Berlusconi ai margini del G8 del 2011
Merkel e Sarkozy rispondono alla domanda su Berlusconi ai margini del G8 del 2011

EPILOGO

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Il cambio di governo è rapidissimo, con Monti che giura al Quirinale già il 16 novembre.

All’opposizione – nota di colore – proprio la Lega Nord che chiese il suo intervento in estate e nel ’94, che tramite questa esperienza diventerà il partito nazionale che oggi conosciamo. In compagnia dell’Italia dei Valori di Di Pietro – partito che si può considerare precursore del Movimento 5 Stelle – i cui blog e universo Second Life sono curati da Gianroberto Casaleggio, il guru tecnologico e animatore dei “vaffanculo day“, che ha già in questi anni contatti con lo staff elettorale del Presidente Obama.

Un Berlusconi ormai piegato dalla disastrosa esperienza, e minacciato dai processi, sosterrà il governo Monti. Nel giro di un anno, si scioglieranno come neve al sole il processo Millis e il processo P4. In estate – quando lo spread tocca livelli più alti rispetto all’estate 2011 – Mario Draghi, invece di inviare lettere di minaccia, varerà l’ambizioso piano di quantitative easing – il “whatever it takes” – per cui oggi è considerato da molti italiani alla stregua di un padre della patria.

Anche se in paesi come l’Algeria e l’Egitto (grazie ad una fortunata coincidenza con l’interesse americano) le cose volgeranno in maniera positiva per l’Italia, in Libia Roma è costretta ad inseguire, mentre la Francia supporta il Maresciallo Haftar e guadagna contratti per la Total in Cirenaica, le forniture languiscono, e la Turchia di Erdogan guadagna sempre più peso nel governo tripolino supportato da Italia e Germania. Una condizione di minorità, una paralisi strategica – quella dovuta alla destabilizzazione del 2011, e al governo fieramente anti nazionale che seguirà – che ancora oggi paghiamo.

Il 2011 segna la fine del ventennale protagonismo di Silvio Berlusconi nella politica italiana, un protagonismo segnato da molte ombre, odiato da molti, che non vogliamo qui discutere dal punto di vista della politica interna.

Quello di cui si può essere certi – però – è che l’attacco coordinato avvenuto nel 2011 nei confronti dell’Italia e del suo governo abbia assestato un duro colpo ai nostri interessi di medio-lungo periodo nel Mediterraneo. Un attacco che – quantomeno questa è l’opinione di chi vi scrive – ha avuto l’influenza angloamericana (e in particolare britannica) come filo conduttore, in ogni suo aspetto.

Le conseguenze le paghiamo ancora oggi.
Il contesto geopolitico della nostra “primavera araba”, nel dibattito politico, rimane quasi del tutto ignorato.

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