Dedollarizzazione: lenta ma inesorabile

Questo mio articolo è stato originariamente pubblicato su Italia Strategic Governance – Aliseo. Lo ripropongo qui in versione notevolmente ampliata, con 6 mesi di importanti iniziative in più da registrare.

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INTRODUZIONE

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la percentuale di dollari detenuta nelle riserve valutarie mondiali – nei 20 anni dal 2001 al 2021 – è scesa dal 70% al 60%.1 Nel quarto periodo del 2022, la quota del dollaro nelle riserve internazionali è ulteriormente scesa fino al 58%. I dati dei pagamenti sono correlati ma leggermente diversi. E’ più difficile trovare dati “olistici” che tengano conto di tutti i pagamenti internazionali. I dati del sistema di messaggistica finanziaria SWIFT – il sistema più usato, anche se favorisce intrinsecamente il dollaro – mostrano il 59% di pagamenti in dollari, con la fetta restante suddivisa in modo ancora più granulare tra le altre valute.

La tendenza generale punta decisamente verso una diminuzione del ruolo del dollaro nell’economia globale, ma il declino del greenback non è stato, almeno finora, un processo rapido. Non sembra peraltro che il tramonto del dominio di una valuta sul mercato mondiale porti necessariamente all’alba del dominio di un’altra: Il dollaro non viene sostituito prevalentemente da un potente rivale, come potrebbero essere l’euro, il remnimbi, la sterlina o lo yen, ma da un paniere di valute alternative, che guadagnano popolarità grazie a reti di accordi commerciali regionali e bilaterali, guidate tanto da fattori (geo)politici quanto da forze di mercato “neutrali” (così afferma il FMI2).

Questo articolo mira a riassumere le “iniziative politiche” – guidate da diverse necessità e obiettivi geopolitici – atte a promuovere un nuovo ordine monetario mondiale, con un focus sui due periodi che hanno visto un’accelerazione degli sforzi per conseguire la dedollarizzazione: Il periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008 e quello successivo all’inizio dell'”operazione militare speciale” russa in Ucraina, nel febbraio 2022.

L’immagine che esce da questa analisi è quella di un sistema valutario sempre più multipolare – che rispecchia gli sviluppi dell’arena geopolitica – nonostante il dollaro sia ancora dominante, e in cui le “spoglie di guerra” del lento declino dell’USD sono condivise tra molte capitali.

Riserve valutarie mondiali, Q4 2022
Riserve valutarie mondiali, Q4 2022

I FATTI DELLA DEDOLLARIZZAZIONE

Consigli di lettura di Inimicizie

Il dollaro USA è stato la valuta dominante incontrastata del mercato mondiale fin dagli accordi di Bretton Woods, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con un’ascesa iniziata all’inizio del XX secolo e accelerata con la fine della Grande Guerra.

Al suo apice, prima che il presidente Nixon ponesse bruscamente fine alla convertibilità del dollaro in oro con il cosiddetto “Nixon Shock” nel 1971, il dollaro costituiva circa l’85% di tutte le riserve valutarie del mondo. Il secondo picco – anche se più basso – del dominio del dollaro sarà raggiunto nel 2001, 10 anni dopo la vittoria degli Stati Uniti nella guerra fredda, con il dollaro che costituirà circa il 70% delle riserve valutarie.

Da allora, la “dominanza del dollaro” è lentamente scesa fino a sotto il 60%.

Come già detto, il dollaro non è stato finora sostituito da un concorrente forte.

Nonostante il Remnimbi cinese abbia guadagnato trazione grazie al crescente ruolo della Cina nell’economia globale e nell’equilibrio di potere regionale e geopolitico – guadagnando 1/3 delle posizioni perse dal dollaro nelle riserve forex4i dati del FMI mostrano chiaramente un quadro in cui nessuna singola valuta esce come vincitrice indiscussa dal declino del dollaro.

Nello stesso arco di tempo in cui il dollaro ha perso più del 10% del suo dominio, l’euro ha guadagnato meno del 5%, la sterlina e lo yen hanno mantenuto più o meno la stessa percentuale e il resto dei “guadagni” sono stati condiviso da un paniere di valute di riserva “altre” o “non tradizionali” (in cui è incluso il Remnimbi) come la rupia indiana, il won coreano, il dollaro australiano e canadese, il real brasiliano.5

UE/euro: accordi commerciali in valute nazionali, linee di liquidità
UE/euro: accordi commerciali in valute nazionali, linee di liquidità

LA CRISI FINANZIARIA DEL 2008: UN CAMBIO DI PARADIGMA

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Se vogliamo esplorare le iniziative politiche che stanno facendo crollare il dominio del dollaro USA nell’economia mondiale nell’era postbellica, il primo periodo di interesse – quello della loro genesi – sembra essere quello successivo alla crisi finanziaria del 2008.

Negli anni successivi al 2008 gli Stati Uniti – dopo già visto la fiducia di gran parte delle capitali del mondo nella loro leadership geopolitica intaccata a causa delle guerre unilaterali in Kosovo, Iraq e Afghanistan – si sono trovati con anche la loro leadership finanziaria oggetto di discussione. In questo caso particolare, la Cina risulta il principale motore del cambiamento.

L’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski scrive, nella sua opera del 2011 “Strategic Vision“:

Soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2007, le critiche cinesi al sistema americano e alla posizione globale dell’America sono diventate frequenti e schiette. L’America è stata incolpata di aver precipitato la crisi finanziaria del 2007 e di non aver apprezzato il ruolo vitale della Cina nello sviluppo di una risposta internazionale collettiva ad essa“.6

Una Cina in ascesa vede l’opportunità di sfruttare le molte critiche all'”irresponsabilità” di Washington nel permettere il crack di Lehmans Brothers – che ha provocato scossoni nell’intera economia mondiale – per iniziare a scalzare il dollaro USA dalla sua posizione di predominio. Pechino mira a sostituire o a riformare le strutture formali e informali – come il FMI, la Banca Mondiale, il sistema di pagamento SWIFT – originariamente concepite per “istituzionalizzare la posizione dominante delle potenze atlantiche negli affari globali7. L’idea di un significato geopolitico della sfida al dollaro è rafforzata dal parallelo accendersi della disputa sul Mar Cinese Meridionale e dall’inizio di un embargo non dichiarato sulle terre rare8 – tutti eventi che si verificano intorno al 2010 – verso la fine della Segreteria di Hu Jintao, che porterà al Politburo di Xi Jinping, più assertivo a livello internazionale.

Cina: accordi di commercio in valute nazionali, linee di liquidità, convertibilità diretta
Cina: accordi di commercio in valute nazionali, linee di liquidità, convertibilità diretta

L’iniziativa più importante in questo senso è l’istituzionalizzazione del gruppo – fino ad allora informale – dei BRIC, il raggruppamento delle maggiori economie emergenti del mondo, teorizzato per la prima volta dall’economista britannico Jim O’Neill nel 20019. Il primo vertice dell’organizzazione – tenutosi a Yekaterinenburg, in Russia, nel 2009 – lascia pochi dubbi sugli obiettivi del Forum. La dichiarazione congiunta afferma chiaramente l’obiettivo di raggiungere “un sistema monetario internazionale più diversificato10 , tra gli appelli alla solidarietà verso le economie più povere del mondo, quelle colpite più duramente dalla crisi e con nuovi legami economici con la Cina in via di sviluppo, e a un ordine mondiale multipolare. Una sfida frontale al dollaro USA, che rappresenta uno degli unici legami reali e obiettivi comuni dei paesi BRIC, molto diversi tra loro e non alleati militarmente.

Il vertice dei BRIC si allargherà per includere anche un Paese africano: Il Sudafrica parteciperà al primo vertice “BRICS” a Sanya, in Cina, nel 2011.

Dopo i primi vertici BRIC e BRICS, sui mercati valutari mondiali si scatena una raffica di nuove iniziative – guidate prevalentemente dalla Cina – che vanno anche oltre i 5 Paesi del Forum. Pechino inizia a perseguire una più ampia circolazione del Remnimbi negli scambi internazionali e nelle riserve valutarie mondiali.

Il Giappone è il primo Paese a firmare un accordo con la Cina per la conversione diretta dello yen giapponese con il remnimbi cinese, nel 2011. Accordi paralleli con l’Australia e il Brasile seguono a breve, nel 2013. Questi accordi consentono ai Paesi firmatari di siglare contratti di importazione/esportazione denominati in valuta nazionale, eliminando la necessità di convertire prima il Remnimbi in USD.

Nel 2015 la Cina lancia CIPS, un sistema di messaggistica finanziaria – incentrato sul Remnimbi – alternativo al diffusissimo sistema SWIFT, con sede a Bruxelles e supervisionato dalle banche centrali del Gruppo dei 10 (tutti parte della NATO + Giappone). CIPS non è, almeno inizialmente, uno sfidante diretto di SWIFT – con cui collabora in molti ambiti – ma il suo moderato successo permette al Remnimbi di essere finalmente aggiunto al pool dei “diritti speciali di prelievo” del FMI, elevando la valuta nazionale cinese allo status di valuta di riserva principale, insieme a dollaro, euro, sterlina e yen. Questo ha permesso di recente, tra le altre cose, che l’Argentina pagasse una tranche del suo debito nei confronti del FMI con un pagamento in Yuan.

Nonostante tutto questo, però, Pechino non è l’unica capitale a guidare il cambiamento nel sistema valutario globale. Anche l’euro può essere un fattore di disturbo, sia indirettamente che direttamente.

Indirettamente, quando il Paese con le maggiori riserve petrolifere accertate al mondo, il Venezuela, decide di accettare solo euro come pagamento per le sue esportazioni di petrolio anziché dollari, nel 2017, per aggirare le attuali e potenziali future sanzioni imposte da Washington. Direttamente, quando Bruxelles dà vita a INSTEX, un nuovo veicolo di pagamento in euro e rial iraniani, progettato nel 2019 per consentire il commercio con Teheran aggirando SWIFT (quindi il dollaro USA e le sanzioni di Washington) dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal JCPOA, ritiro osteggiato dall’UE.

OPZIONE NUCLEARE: LA GUERRA IN UCRAINA EVIDENZIA REALTA’ GEOPOLITICHE PREESISTENTI

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La seconda “grande accelerazione” nel declino del dominio del dollaro USA inizia da una serie di eventi, che parte dalle sanzioni senza precedenti contro l’Iran, il Venezuela e l’Afghanistan e culmina nelle sanzioni “maximum pain” contro la Russia in risposta alla sua invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022.

In questa fase, la realtà geopolitica già esistente di un ordine mondiale multipolare viene alla luce, con le grandi e medie potenze che raddoppiano gli sforzi per ridurre la loro dipendenza dal dollaro USA – e in generale dalle istituzioni finanziarie dominate dagli americani – a causa della loro quasi inedita weaponization a favore degli obiettivi di politica estera di Washington. Esempi di tale weaponization includono (ma non sono limitati a): l’esclusione dell’Iran e della Russia dal sistema SWIFT – che si supponeva neutrale – il sequestro delle riserve di valuta estera dell’Afghanistan e della Russia, il sequestro della riserva aurea sovrana del Venezuela detenuta presso la Banca d’Inghilterra.

In questa fase di dedollarizzazione, la Russia potrebbe sembrare – e probabilmente vorrebbe sembrare – il leader, ma il processo messo in moto va ben oltre la sfida di Mosca a Washington e la costruzione di una rete parallela che sfugga alle sanzioni, ed è di fatto indipendente dai risultati finali delle operazioni militari nel teatro bellico ucraino.

Tuttavia, essendo la Russia uno dei principali esportatori di materie prime, i suoi sforzi muscolari per aggirare le sanzioni e sostenere il Rublo meritano una “menzione d’onore”.

Russia: accordi commerciali in valute nazionali, convertibilità diretta, circuiti paralleli
Russia: accordi commerciali in valute nazionali, convertibilità diretta, circuiti paralleli

Le iniziative di Mosca – fin dall’inizio delle sanzioni promosse da USA e UE – si sono mosse in due direzioni: Su base volontaria con i Paesi “amici” e su base coercitiva con i Paesi sanzionatori, quindi “non amici”. Il secondo caso è noto ai cittadini europei come lo schema “rubli per euro”, ideato da Mosca per ricevere pagamenti (attraverso la Gazprombank, di proprietà statale) per le sue esportazioni di gas verso l’UE in rubli non sequestrabili e non congelabili, rafforzando parallelamente la valuta nazionale (all’epoca in forte calo). Il primo caso riguarda Paesi come l’India e la Turchia, che hanno cercato di sviluppare legami economici ancora più forti con la Russia per il proprio vantaggio economico e/o strategico, sfruttando il vuoto lasciato dalle imprese e dalle cancellerie europee ed americane. Entrambi i Paesi hanno implementato accordi – non senza difficoltà – con la Russia per facilitare il commercio nelle valute nazionali.

Mosca ha anche cercato di promuovere l’uso del sistema di pagamento MIR – un’alternativa della Banca centrale russa a Visa e Mastercard, creata dopo le sanzioni statunitensi alla Russia nel 2014 – e dell’SPFS, l’alternativa russa al sistema di messaggistica finanziaria SWIFT. La diffusione del MIR ha incontrato vari alti e bassi: Inizialmente molte banche e aziende hanno accettato il sistema di pagamento per poter trattare con i cittadini russi all’estero, ma molte si sono anche ritirate in seguito ad una campagna lanciata da Washington, volta a perseguire senza sosta con sanzioni tutte le banche collegate al sistema di pagamento. Per questo motivo, da settembre 2022, la banca centrale russa ha smesso di pubblicare l’elenco delle banche internazionali partecipanti nel sistema SPFS.
Di maggior successo invece è stata la promozione russa della de-dollarizzazione del commercio internazionale tra i membri dell’Unione Economica Eurasiatica (che comprende Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan) attraverso un maggiore uso di valute nazionali e di valute diverse dal dollaro e dall’euro, come il renminbi o la rupia. L’uso del dollaro USA tra i membri dell’UEE è ora sceso al 21%.

Il contributo della Russia al “nuovo ordine monetario mondiale” rischia tuttavia di essere sopravvalutato, se non dal punto di vista qualitativo, da quello quantitativo.

Il dato più importante da rilevare è piuttosto la crescente tendenza, abbracciata anche da capitali non necessariamente ostili a Washington, ad abbandonare il dollaro USA o almeno a diminuire la dipendenza da esso. In un articolo del 2022 su Bloomberg, intitolato “Suddenly everyone is hunting for alternatives to the US Dollar“, si legge: “King Dollar is facing revolt. Tired of a too strong and newly weaponized greenback, some of the world’s biggest economies are exploring ways to circumvent the US currency“.

Altre iniziative di dedollarizzazione
Altre iniziative di dedollarizzazione

Al di fuori degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e di pochi altri Paesi, la sostituzione del dollaro USA sembra essere la moda del momento (o dell’anno). La banca centrale di Israele – paese strettamente alleato con gli Stati Uniti – ha annunciato un “cambio di filosofia” nel 2022, riducendo la sua riserva di dollari USA a favore del remnimbi cinese, del dollaro australiano e canadese e dello Yen giapponese. Il remnimbi, assente dalle riserve valutarie brasiliane fino al 2018, è salito al 5% delle riserve di valuta estera del Paese nel 2021. Un aumento parallelo si osserva per le riserve brasiliane di YEN, AUD, CAD, GBP e oro, a scapito del dollaro USA, tendenza che è probabilmente aumentata nel 2022.

Anche l’India ha cercato di promuovere un ruolo importante per la sua rupia, in parte per sfruttare il declino del dollaro, in parte per controbilanciare l’ascesa del remnimbi della rivale Cina. Un nuovo sistema di pagamenti import/export attraverso “vostro accounts” in rupie presso la Reserve Bank of India ha attirato l’interesse di paesi in via di sviluppo come Sri Lanka, Tagikistan, Cuba, Sudan e Lussemburgo (oltre ovviamente a Russia e Bielorussia), con la banca centrale degli Emirati Arabi Uniti che ha siglato un accordo completo di swap valutario rupia-dirham.

India: accordi di commercio in valute nazionali o convertibilità diretta
India: accordi di commercio in valute nazionali o convertibilità diretta

L’Iran, un paese “veterano” della dedollarizzazione, è naturalmente molto attivo in tal senso, e guida iniziative a spettro molto ampio rispetto al suo peso nell’economia globale (0,5% del PIL mondiale). L’ultima di queste iniziative riguarda l’Asian Clearing Union, un blocco finanziario a guida indo-iraniana fondato nel 1973 e che vede anche la partecipazione di Pakistan, Bangladesh, Myanmar, Nepal, Maldive e Bhutan. L’ACU ha deciso di sviluppare una sua alternativa allo SWIFT entro la fine del 2023, e nel mentre di utilizzare il sistema iraniano SEPAM per le transazioni tra i membri del blocco rientranti negli accordi ACU. Questa organizzazione regionale agisce anche sul fronte delle valute di riserva: dal 2008 – quando i pagamenti attraverso l’ACU venivano saldati solamente in dollari – ha espanso il suo paniere valutario prima all’euro, e successivamente allo yen. E’ obiettivo dell’organizzazione espandere ulteriormente questo paniere, che probabilmente in futuro includerà anche la rupia, il remnimbi e il ryal.

Talvolta, laddove i risultati concreti della dedollarizzazione non si sono ancora materializzati, si stanno sviluppando rapidamente nuove posizioni politiche: Il neoeletto presidente brasiliano Lula da Silva ha presentato un piano (ancora in gran parte teorico) per la creazione di una moneta comune latinoamericana per regolare gli scambi internazionali, da chiamare “Sur (“Sud”) in quella che è una chiara sfida all’influenza di Washington nell’emisfero occidentale. Idee simili – con un grande impatto potenziale sul dominio del dollaro USA – circolano in organizzazioni regionali come l’ECOWAS e l’ASEAN. Quest’ultima, a maggio 2023 ha comunicato ufficialmente l’inizio di un’iniziativa per promuovere il commercio in valute locali all’interno del blocco che conta il 7% del PIL globale.

Iran: accordi di commercio in valute nazionali o convertibilità diretta
Iran: accordi di commercio in valute nazionali o convertibilità diretta

Naturalmente, anche la Cina ha cercato di sfruttare questa nuova occasione per ridurre il ruolo globale del dollaro. E non solo aumentando gli scambi commerciali con la Russia e sfruttando l’influenza regionale di Mosca per diffondere il renminbi e il sistema di messaggistica CIPS all’estero.

Un argomento molto controverso è stata la proposta – proveniente da funzionari sauditi – di prezzare alcuni contratti petroliferi in remnimbi cinese, danneggiando una delle pietre miliari del dominio globale del dollaro: La denominazione dei prezzi delle materie prime, in particolare quelle energetiche. In occasione di un vertice senza precedenti con i leader arabi a Rihyad – nel dicembre 2022 – il segretario del Partito comunista cinese Xi Jinping ha confermato le indiscrezioni: “La piattaforma della Borsa del Petrolio e del Gas Naturale di Shangai sarà pienamente utilizzata per il regolamento in renminbi del commercio di petrolio e gas“, anche se non sono state specificate date e quantità. Questo annuncio diventa potenzialmente esplosivo, in luce della riorganizzazione geopolitica del Golfo Persico dovuta alla normalizzazione Iran – Arabia Saudita, mediata proprio da Pechino. Il 29 marzo, la compagnia francese Total paga per la prima volta un carico di GNL emiratino in valuta cinese.

Il Forum BRICS ha visto una nuova ondata di interesse da parte dei Paesi in via di sviluppo, ed è altamente probabile la sua espansione nel 2023. Purnima Anand, presidente del Forum internazionale dei BRICS, ha dichiarato di aspettarsi che Turchia, Egitto e Arabia Saudita si uniscano “molto presto “, mentre il presidente algerino Tebboune ha affermato che l’Algeria sia pronta ad entrare ufficialmente nell’organizzazione nel 2023, e altri Paesi – come l’Argentina – hanno fatto domanda di adesione al Forum; originariamente concepito per sfidare il dollaro statunitense e l’egemonia degli Stati Uniti nelle istituzioni finanziarie multinazionali. L’Arabia Saudita, potrebbe presto entrare tra gli azionisti della banca BRICS – la New Development Bank – insieme ad altri stati del sud globale.
Al vertice BRICS di Johannesburg nell’estate del 2023, uno dei temi di discussione sarà la creazione di una moneta ad hoc per gli scambi internazionali.

La NDB – che dal 2023 è guidata da Dilma Roussef, ex presidente brasiliano – ha posto tra i suoi obiettivi quello di finanziare sempre più progetti in valute nazionali, invece che usare il dollaro. Obiettivo che è condiviso anche da altre banche d’investimento a guida cinese come l’Asian Infrastructure Investment Bank.

CONCLUSIONE

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Come afferma il Direttore degli Investimenti di Credit Suisse, Zoltan Pozsar, Il dollaro USA non perderà la sua posizione di valuta più diffusa al mondo nel breve futuro33, e le ragioni sono molteplici. L’estrema liquidità dell’asset, il conservatorismo delle istituzioni, le dimensioni dell’economia statunitense e il ruolo globale delle imprese americane, nonché la potenza militare degli Stati Uniti, sono solo alcuni dei motiivi.

Tuttavia, è impossibile negare che il dominio del greenback sull’economia mondiale stia lentamente – ma inesorabilmente – diminuendo, e che suddetto declino non sia guidato solo da forze di mercato “neutrali”, ma anche da considerazioni geopolitiche e strategiche. Le iniziative “politiche” verso la de-dollarizzazione sono accelerate dopo la weaponization “nucleare” del dollaro USA nel contesto della guerra russo-ucraina, e non solo nei Paesi politicamente, militarmente ed economicamente legati alla Russia.

Neanche questa tendenza è destinata a mutare nel breve futuro, e oggi siamo in grado soltanto di intravedere intravedere il nuovo ordine valutario multipolare che verrà, le cui caratteristiche sono ancora in fase di definizione.

Il sistema valutario globale non è qualcosa che si può cambiare dall’oggi al domani, come dimostrano le moltissime difficoltà incontrate anche dai paesi più determinati e sotto pressione come Russia e Iran. Tra l’accordo per la convertibilità diretta tra remnimbi e rial brasiliano e un accordo Cina-Brasile per il commercio bilaterale in valute nazionali sono passati 9 lunghi anni. La macchina però è in moto, e sta decisamente accelerando. Il florilegio di accordi presi negli ultimi 2 anni, darà i suoi frutti nei prossimi 10.

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1S. Arslanap, B. Eichengreen, C. Simpson-Bell, “The Stealth Erosion of Dollar Dominance: Active Diversifiers and the Rise of Nontraditional Reserve Currencies”, IMF WP/22/58, Washington DC, 2022

2Ivi

4Arslanap, Eichengreen, Simpson-Bell, “The Stealth Erosion of Dollar Dominance: Active Diversifiers and the Rise of Nontraditional Reserve Currencies”

5S. Arslanap, “US Dollar share of global foreign exchange reserves drops to 25 year low”, IMF Blog, 2021

6Z. Brzezinski, Strategic Vision. America and the crisis of global power, Basic Books, New York, 2012, p 86

7Ivi, p 12

8Pitron, The Rare Metals War, Scribe, Minneapolis, 2020, p 101

9O’Neill, “Building Better Global Economic BRICs”, Goldman Sachs Global Economics Papers, 2001

10“Joint Statement of the BRIC Countries’ Leaders”, Yekaterinenburg, 2009

16“Venezuela stops accepting dollars for oil payments following U.S. Sanctions”, Wall Street Journal, 2017

33. Pozsar, “War and currency statecraft”, Credit Suisse Economics Newsletter, 2022