Olimpo ed Egeo

DI SYNESIUS CYRENENSIS 

Parte 1: Bellum Scythicum

ἡ δὲ θάλασσα πήγνυται καὶ ὁ Βόσπορος πᾶς ὁ Κιμμέριος, καὶ ἐπὶ τοῦ κρυστάλλου οἱ ἐκτὸς <τῆς>τάφρου Σκύθαι κατοικημένοι στρατεύονται καὶ τὰς ἁμάξας ἐπελαύνουσι πέρην ἐς τοὺς Σίνδους. (Hdt.IV, 28)

Il mare [d’Azov] si solidifica e così tutto lo stretto di Kerc e sulla superficie cristallina gli Sciti che abitano quelle zone guerreggiano e si spingono coi carri fino all’altra sponda presso i Sindi.

INTRODUZIONE

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Il mare si fa terra e l’inverno estate nella descrizione che Erodoto di Alicarnasso, il più antico storico di cui ci siano conservate le opere, fa della Scizia. Questa regione era per gli antichi greci insieme oggetto d’orrore e di curiosità: collocata nell’estremo settentrione del mondo ellenico, si stendeva da occidente ad oriente dal Danubio al Mar d’Azov, e da meridione a nord dal Mar Nero fino a perdersi nella steppa e nelle sempre più scarse informazioni a disposizione dei commercianti greci del Ponto. La popolazione che la abitava, gli Sciti, era resa aliena ed inquietante agli uomini del Mediterraneo da una sua famigerata caratteristica: erano nomadi. Le estreme condizioni geografiche ed il nomadismo spiegano il senso conturbante che gli Sciti esercitavano sui Greci: questi uomini il cui stile di vita prescindeva da ciò che i Greci ritenevano più proprio dell’uomo, la città, erano però uomini e, sebbene remoti ai confini del mondo, essi però esistevano e partecipavano alle vicende della storia. Un incontro di questi due mondi non era a priori escluso.

Erodoto cattura perfettamente il turbamento greco di fronte agli Sciti nel quarto libro delle sue Storie.
Tutta la sua costruzione etnografica si basa sul tacito assunto che la Scizia sia un mondo all’incontrario: in esso le mucche cuociono se stesse (Hdt. 4, 61), i sacrifici avvengono senza libagioni, fuoco e consacrazione della vittima alla divinità (Hdt. 4, 60), talvolta si tratta addirittura di sacrifici umani (Hdt. 4, 62) e gli Sciti praticano ogni sorta di rituali cruenti e selvaggi, impensabili per i Greci (Hdt. 4, 64-9). E il mare stesso, congelandosi nell’inverno estremo, può diventare terra, e l’inverno stesso divenire la stagione favorevole alla guerra al posto dell’estate. Gli Sciti non rimangono tuttavia una anomalia ai margini del mondo greco, ma entrano nella grande trama della storia raccontata da Erodoto, poiché il Gran Re persiano, Dario, si era scontrato senza successo con questa popolazione, prima di replicare tale sconfitta con i Greci a Maratona.

Mappa della Scizia
Mappa della Scizia

Grazie al racconto della campagna di Dario in Scizia, l’inversione del mondo scitico rispetto a quello greco acquista anche un valore strategico e nei rapporti internazionali, così da costituire un interessante contraltare alle nostre ordinarie rappresentazioni di terra e mare, potenze terrestri e marittime.
Questo è il senso della trilogia di articoli che voglio offrire ai lettori di Inimicizie: individuare in tre classici del pensiero strategico greco – Erodoto, Tucidide, Platone – sia le radici che possibili critiche, ampliamenti e sfumature della nostra geopolitica fondata sulla dialettica fra terra e mare.
Non intendo offrire valutazioni complete di questi testi, né sviluppare un discorso strategico o geopolitico coerente ed attuale a partire da essi, anche perché sono privo delle competenze necessarie sul lato contemporaneo. Ciò che il lettore troverà nei saggi seguenti saranno testi interessanti dal punto di vista geopolitico, resi leggibili a chi non si occupi di pensiero greco per professione. Le conseguenze analitiche e operative per il presente sono lasciate al lettore.

IL RE DELLA TERRA FERMA E LA TERRA BRUCIATA

Consigli di lettura di Inimicizie

La sfida fra la Grecia, guidata da Atene, e l’Impero Persiano, prima sotto re Dario e poi Serse, è l’archetipo europeo della sfida fra mare e terra, con le dinamiche e libere città greche a rappresentare la democrazia liberale marittima e i Persiani simbolo del terrigno dispotismo orientale. Questo archetipo risale ad Erodoto stesso e viene già anticipato nel conflitto fra Dario e gli Sciti. Con due semplici ma icastici tratti lo storico caratterizza i Persiani come potenza terrestre sin dalla marcia di avvicinamento alla Scizia.

Il principale ostacolo fisico fra Dario, il cui quartier generale era Susa, e il suo nemico era il Mar Nero e lo stretto del Bosforo fra Asia Minore e Propontide europea. L’esercito persiano tuttavia non aggredisce la Scizia dal Mar Nero, imbarcandosi magari in Anatolia e navigando fino alla costa nord-occidentale, bensì Dario decise di attraversare il Bosforo e di volgersi poi a settentrione (a destra venendo dall’Anatolia) entrando in Scizia col guadare l’Istro, cioè il nostro Danubio. Non solo l’itinerario nel suo complesso fu disegnato per evitare il più possibile il mare e l’utilizzo di navi, ma anche i suoi due punti-chiave, il passaggio del Bosforo prima e del Danubio dopo, furono trattati da potenza veramente terrestre: per mezzo di ponti costituiti da zattere legate insieme, i Persiani „aggiogarono il mare“ (questa l’espressione propagandistica che troviamo in Erodoto) e continuarono
la loro marcia all’asciutto
(Hdt. 4, 87-9).
Ho scritto „i Persiani“, ma l’ingegneria e i materiali dell’operazione non erano di provenienza orientale, bensì greca: le navi furono fornite, legate in ponti e sorvegliate dai vassalli Ioni di Dario, che seguivano l’esercito orientale con una flotta. Ciò è molto indicativo delle attitudini strategiche persiane, perché non solo l’esercito si rifiuta di approcciare l’acqua in quanto tale, cercando con degli espedienti di renderla quanto più simile alla terra possibile, ma è persino incapace di produrre questi espedienti in house, dovendoli esternalizzare ai Greci, che invece
erano specializzati nel conflitto marittimo.
Non dobbiamo neppure sottovalutare l’indipendenza di cui godevano queste unità di marina greche rispetto allo stato maggiore persiano, o meglio la labilità del controllo persiano sui suoi distaccamenti etnici e in particolare su quello greco – che evidentemente i Persiani faticavano a capire. Prova di questa indipendenza sono le trattative separate che gli Ioni condurranno verso la fine della campagna scitica col nemico, trattative che andranno a monte soltanto perché gli Ioni decideranno autonomamente – e guarda caso in maniera democratica, con assemblea e
votazioni – di rimanere fedeli al Gran Re (Hdt. 4, 97.136-40).

Nel caso questa dimostrazione pratica della natura terrestre della potenza persiana non fosse sufficientemente chiara, Erodoto ce ne offre anche una dichiarazione programmatica dalla penna di re Dario stesso. Oltrepassato il suo primo fiume sul suolo europeo, il Tearo (oggi probabilmente Poyralı Deresi), Dario fa erigere una colonna con la seguente iscrizione: „Le fonti del Tearo dànno l’acqua più
bella e migliore di tutti i fiumi. Ad esse è giunto guidando un esercito contro la Scizia l’uomo migliore e più bello di tutti gli uomini, Dario figlio di Istaspe, il Re dei Persiani e di tutta la terra ferma
(πάσης τῆς ἠπείρου)“ (Hdt. 4, 91). Due cose sono da notare in questa iscrizione: prima la captatio benevolentiae per il fiume, che nella concezione antica era visto sempre come un essere divino e che funge anche come propiziazione dell’intera terra europea e dunque della missione dei Persiani, esplicitamente menzionata nell’iscrizione; secondo, che Dario (almeno per come Erodoto ce lo rappresenta) nell’avanzare la tradizionale pretesa dei Re persiani alla signoria sul mondo intero si dichiara re „della terra ferma.
Questo è infatti il significato proprio di ἤπειρος in greco, che si contrappone normalmente a θάλασσα, il mare. È dunque il Re stesso, sempre stando a Erodoto, a limitare la propria pretesa alla terra riconoscendo la natura terrestre del proprio potere, propiziandosi al contempo e soprattutto l’elemento per lui più problematico, l’acqua, incarnato qui dal fiume Tearo.

Ciò che mette in discussione questa nettissima rappresentazione della potenza terrestre è la risposta scita all’attacco persiano. I tratti fondamentali della strategia scitica sono anticipati da Erodoto sin da prima del racconto della campagna, e sono del tutto opposti alla strategia persiana: „La più grande invenzione degli Sciti è questa, che da una parte nessuno che muova loro guerra può sfuggir loro, dall’altra se essi non vogliono farsi trovare è impossibile attaccarli: essi infatti non hanno né città né fortificazioni stabili, ma essendo tutti nomadi combattono come arcieri a cavallo; in effetti, non vivendo dei prodotti della terra ma del bestiame ed avendo abitazioni su ruote, come non potrebbero essere imprendibili e impossibili da attaccare? Certo, hanno potuto inventare questa strategia perché la loro terra era adatta a ciò e i fiumi erano loro alleati: la terra infatti è pianeggiante, erbosa ed irrigua e attraverso di essa scorrono fiumi in numero non molto minore ai canali dell’Egitto.“ (Hdt. 4, 46-7).
Questa dottrina militare fu applicata con coerenza anche nel caso dell’attacco persiano, dopo che divenne chiaro che le popolazioni circostanti non avrebbero portato aiuto agli Sciti e che dunque una battaglia in campo aperto sarebbe stata esclusa in ragione della disparità numerica (Hdt. 4, 118-9). Gli Sciti evacuano la popolazione imbelle verso nord-est e dividono l’esercito in due tronconi, uno con l’ordine di seguire i civili costeggiando il Mar d’Azov e di volgersi a inseguire i Persiani nel caso questi avessero deciso di ritirarsi, l’altro con l’ordine di muoversi verso nord e poi verso ovest, cercando di attirare i Persiani verso i territori dei popoli vicini per costringere questi all’intervento ed eventualmente di chiudere i Persiani da ovest. Muovendosi, gli eserciti dovevano „sigillare di propria mano i pozzi e le fonti che incontrassero al loro passaggio ed estirpare con il calpestìo l’erba dalla terra“ (Hdt. 4, 120). È la prima attestazione nella letteratura occidentale della tattica della terra bruciata.

Napoleone assiste allibito all'incendio di Mosca
Napoleone assiste allibito all’incendio di Mosca

Ancora una volta, nel caso lo svolgersi degli eventi non fosse di per sé abbastanza chiara dimostrazione dei concetti strategici, Erodoto dà voce al re degli Sciti per rendere in parole quanto abbiamo già visto in azione. Il discorso del re Idantirso è pronunciato in risposta al messaggero persiano che comunicava la richiesta di Dario di scendere a battaglia, rinunciando alla posizione di vantaggio che gli Sciti avevano conquistato con la loro ritirata strategica. Val la pena tradurre qui il discorso integralmente, come una sorta di „dottrina Idantirso“, su cui riflettere anche a prescindere dalla campagna scitica di Dario:

O Persiano, questa è la mia situazione: Io non ho mai fuggito per paura alcun uomo prima, né ora fuggo te. Nemmeno sto facendo ora nulla di diverso rispetto a quello che sono abituato a fare anche in pace. E ti dichiarerò chiaramente anche il motivo per il quale non scendo subito a battaglia contro di te: noi non abbiamo città o terra coltivata per cui temere che venga conquistata o devastata e quindi venire
preventivamente a battaglia con voi. Se però hai davvero così tanta fretta in questo affare, noi abbiamo le tombe dei nostri padri. Su, trovatele, provate a distruggerle e allora vedrete se non scenderemo a battaglia contro di voi per quelle tombe. Prima di ciò tuttavia non combatteremo se non ne saremo convinti.
“ (Hdt. 4, 127).

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In che senso gli Sciti mettono in crisi una troppo netta distinzione fra potenza
di terra e potenza di mare?
Ad uno sguardo superficiale, la rappresentazione erodotea parrebbe riconducibile senza dubbi alla categoria della terra. Non tanto e non solo perché gli Sciti non dimostrano alcun interesse per il mare e per la navigazione, sostentandosi con l’allevamento e spostandosi con carri trainati da animali, quanto più perché la nostra consueta immaginazione attribuisce la tattica della terra
bruciata e l’utilizzo della profondità strategica territoriale come meccanismo di difesa da invasioni alle potenze di terra, prima fra tutte la Russia
. Questo valore paradigmatico della Scizia sarà affrontato più sotto, aggiungiamo qui soltanto come caratteri propri dell’identità terrigna degli Sciti anche la monarchia, l’enfasi sociale sul valore militare e il patriarcato, dimostrato in maniera icastica da Erodoto con il riferimento alle „tombe dei Padri“ nel discorso di Idantirso.

Proprio le tombe dei Padri evidenziano tuttavia i difetti di una identificazione frettolosa degli Sciti con la terra, o di un appiattimento della strategia terrestre sui concetti a noi più consueti. Queste tombe sono, in mancanza di fortificazioni, città o fonti di ricchezza immobili, l’unico elemento ordinatore dello spazio scitico e dunque l’unico punto di riferimento possibile per una battaglia campale nella quale gli Sciti combattano in difesa. Come principio ordinatore, queste tombe sono invero assai deboli: anche prendendole come ipotetico axis mundi, esse rimarrebbero comunque al centro di uno spazio omogeneo e inarticolato, sicché la loro capacità orientatrice, non riposando su alcun altro elemento terrestre cui correlarsi, non sarebbe diversa da quella della stella polare rispetto alla distesa omogenea (aequora) del mare. Il fatto che l’una si trovi in cielo e quelle addirittura sotto terra è, in questo frangente, qualcosa di puramente accidentale. Se aggiungiamo che la posizione di queste tombe è, secondo quanto ci dice Erodoto, addirittura esterna ai territori propri degli Sciti, più vicina ad altri popoli che a loro stessi, e che
essa resta comunque ignota agli stranieri, si capisce quanto poco le tombe possano costituire una eccezione all’omogeneità del territorio scitico.

Al contrario, mi sembra che la forma di vita degli Sciti, che culmina nella loro paradossale e nuova tattica difensiva (terra bruciata e profondità strategica), sia per molti aspetti assimilabile a quella marittima. Questo a partire dalla concezione dello spazio, visto che, come già più volte ripetuto, la Scizia
era priva di campi coltivati e città e gli Sciti vivevano da nomadi. Questo modo di vita unito al carattere pianeggiante e omogeneo del territorio fanno sì che la terra scitica sia più assimilabile alla distesa omogenea del mare che non allo spazio articolato e organizzato della terra. In tale contesto lo spazio è definito più dalle distanze relative, fra „noi“ e „loro“, che non da punti di riferimento e confini fissi; conseguenza e dimostrazione di ciò sono le catene di invasioni tipiche dei popoli della steppa che proprio Erodoto nel libro quarto per primo descrisse (Hdt. 4, 11). Se infatti un’invasione riuscita fra popoli di terra porta alla sottomissione o alla fusione di invasi e invasori, nella steppa l’invasore si sostituisce semplicemente all’invaso, il quale si muove mettendo a sua volta in movimento un terzo, e così via finché un popolo nomade non sia costretto a invadere dei sedentari.

Il fondatore del pensiero navalista, Alfred T. Mahan, vede il mare come gli sciti vedono la terra. Un luogo che non si può (e non si deve) difendere. Lo spazio esiste solo per muoversi al suo interno - mai per stanziarvisi - e lo scopo principale della guerra marittima e l'offesa, la razzia del commercio nemico.
Il fondatore del pensiero navalista moderno, Alfred T. Mahan, vede il mare come gli sciti vedono la terra. Un luogo che non si può (e non si deve) difendere. Lo spazio esiste solo per muoversi al suo interno – mai per stanziarvisi – e lo scopo principale della guerra marittima e l’offesa, la razzia del commercio nemico.

In questo senso è interessante anche il rapporto con i fiumi. Erodoto ne paragona la fitta rete a quella dei canali egiziani e sostiene che essi servano da alleati agli Sciti nella loro dottrina militare. Ciò significa che i fiumi della Scizia sono, per i loro abitanti, completamente addomesticati e integrati nel territorio, come fossero canali artificiali o altri esseri umani („alleati“). Essi non segnano alcun confine e non strutturano lo spazio perché non costituiscono un vero e proprio limite al movimento degli Sciti – come i canali non limitano i movimenti degli Egizi. Il reticolo di fiumi non introduce alcuna ruvidezza o attrito sulla distesa omogenea della terra scitica, che rimane „mariforme“, per così dire. Questo però vale solo per gli Sciti stessi, perché i loro invasori di terra invece sono rallentati dalla presenza dei fiumi: i Persiani sono costretti a usare ponti di navi per entrare nel paese e poi, una volta superata la palude Meotide (oggi Mar d’Azov) e giunti al fiume Oaro (identificato talvolta con il Volga), Dario fa loro costruire fortificazioni lungo il corso del fiume. È difficile interpretare il senso militare di questa mossa
da parte di Dario, vista la posizione del tutto periferica del fiume rispetto ai territori degli Sciti e l’assenza di altre popolazioni in quel punto. Viene da pensare che si tratti di una reazione al disorientamento complessivo dell’esercito e del suo comando nei confronti di quella distesa sempre identica di terra. I Persiani si sentono costretti a dare una morfologia alla terra, a segnare un confine e dare così un significato a quel fiume che, per gli Sciti, non era diverso da tutti gli altri fiumi attraversati.

A questa indistinzione spaziale corrisponde una indistinzione temporale nella vita degli Sciti. Se per i popoli sedentari, come Greci e Persiani, la guerra era un fatto limitato nel tempo, determinato in primo luogo dall’alternarsi delle stagioni che permetteva di effettuare operazioni militari solo in primavera ed estate, e poi da una cultura religiosa e politica che richiedeva chiari rituali di inaugurazione all’inizio e di purificazione alla fine della guerra stagionale, per i nomadi Sciti non esisteva una chiara distinzione fra guerra e pace. Ciò è già chiaro nel discorso di Idantirso al messaggero persiano, quando il re scita sostiene che il suo comportamento di fronte all’invasione persiana non differisca in nulla dal suo
comportamento in tempo di pace. La „guerra“ – termine che in questo contesto a rigore sarebbe da evitare – per gli Sciti è soltanto guerra d’attacco (questo il senso di „non combatteremo se non ne saremo convinti“) e guerra di razzia. Paradigmatica in tal senso è la vicenda che funge da casus belli per la campagna di Dario in Scizia: gli Sciti avrebbero invaso la Mesopotamia fino alla Perside, sicché Dario vorrebbe vendicare questa invasione. Guardando però ai fatti raccontati da Erodoto emerge una
immagine diversa da quella dell’invasione che siamo abituati ad immaginarci: su pressione di altri popoli (Massageti e Issedoni), gli Sciti devono abbandonare i loro territori nella steppa russa e invadere quelli dei Cimmeri nella steppa ucraina; i Cimmeri si muovono allora verso il Medio Oriente (Anatolia, Mesopotamia) e gli Sciti li inseguono. Dopo essere vissuti 28 anni in Medio Oriente (qualche anno più degli Americani in Afghanistan), gli Sciti su pressione dei Medi fanno ritorno ai propri territori (cioè i territori dei Cimmeri). L’invasione scitica non è quindi una operazione militare nel senso tradizionale del termine, bensì la migrazione di un popolo che non percepisce alcuna distinzione fra pace e guerra, commercio e razzia. In questo senso lo stile di vita scitico assomiglia alla guerra di corsa degli Inglesi moderni.

L’indistinzione spaziale manifesta nell’assenza di confini sanciti e l’indistinzione temporale manifesta nell’assenza di guerre dichiarate concorrono a caratterizzare la Scizia in maniera simile al mare apertum della modernità: in questo spazio omogeneo e inquietante, esterno alla geografia ordinaria delle potenze, le regole e le distinzioni delle relazioni internazionali vengono meno, talché anche la strategia scitica è una strategia quasi più marittima che terrestre, perché non sembra curarsi, nello scorrere del conflitto, della situazione territoriale, non misurando vittorie e sconfitte sulla base dell’acquisizione di territori o posizioni di vantaggio.

LA SCIZIA ETERNA

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Per queste ragioni, il conflitto di Dario con la Scizia porta alla ribalta del mondo
– per lo meno così è per il mondo di Erodoto – un modo nuovo di stare sulla terra e di fare la guerra. Esso può tutto essere sintetizzato sotto la parola-chiave “nomadismo”. Gli Sciti rappresentano una alterità totale e inquietante per i Greci perché rifiutano il principio fondante della vita umana, la sedentarietà cittadina. Per questa loro potenza simbolica, gli Sciti sono diventati un archetipo della barbarie e un modello di alterità del pensiero occidentale.

Alla vista dell’incendio di Mosca, Napoleone avrebbe esclamato “Che spettacolo orribile! E lo hanno fatto loro stessi! […] Che razza di persone! Sono degli Sciti!” Se c’è una potenza storica che può a miglior ragione avocare per sé l’eredità scitica, quella è proprio la Russia, e la ritirata tattica di Kutuzov di fronte all’invasione napoleonica, culminata nell’incendio di Mosca e raccontata da Tolstoj in Guerra e Pace, è la consacrazione mitica di questa eredità. È facile vedere la somiglianza fra la guerra scitica raccontata da Erodoto e la “profondità strategica” così importante per la mentalità russa e così decisiva sia contro Hitler che contro Napoleone. Allo stesso tempo, ci rassicura vedere nei Russi degli Sciti, cioè dei barbari alieni alla civiltà (diremmo oggi ai diritti) umana. È forse più inquietante scoprire, tenendo ben in mente la caratterizzazione di Erodoto, che quella strategia è connotata come l’opposto della guerra del grande impero terrestre dell’epoca, del despota orientale Dario. Anzi, quella strategia ha delle profonde connotazioni marittime. Possibile che si possa parlare di una Russia marina, seppur solo in quanto scitica?

Il problema può essere risolto riconoscendo che un elemento di dottrina bellica (la “profondità strategica”), per quanto centrale nella mentalità di una potenza, non ne determina da sola l’identità e il modo di vita. Altri elementi strategici, così come la struttura economica e sociale, la cultura e la religione, possono mitigare o contrastare l’influenza di fattori più squisitamente geopolitici. Un altro argomento contro un’associazione marittima della Russia è la distinzione fra attacco e difesa. Se confrontiamo l’invasione dell’Ucraina con le difese contro Hitler e Napoleone già citate, notiamo che la Russia si comporta come gli Sciti in difesa, per molti aspetti come i Persiani in attacco. La strategia scitica non è dunque il risultato immediato di una scelta di vita estrema, il nomadismo, che struttura un’intera civiltà, come fu per gli Sciti, ma un elemento culturale e geopolitico importante all’interno di un sistema più complesso non solo di strategie ma anche di forme di vita.

Se questa ragionevole spiegazione elimina l’inquietudine di una “Russia marittima”, la costruzione erodotea è pronta ad offrirci un’altra e più profonda inquietudine: quello di una Russia ateniese. L’utilizzo simbolico degli Sciti inizia infatti già in Erodoto stesso, visto che lo storico costruisce il racconto del fallimento in Scizia di Dario come un anticipo e un parallelo, in piccolo, della sconfitta in Grecia di Serse e alla strategia scitica della terra bruciata fa corrispondere l’abbandono dell’Acropoli da parte degli Ateniesi e il loro rifugiarsi sulle navi, per poi vincere proprio in una battaglia navale a Salamina. L’ispiratore di questa strategia fu niente di meno che il dio di Delfi, che in un oracolo parlava di “mura di legno”. La definizione di terra e mare si complica dunque e diventa necessario introdurre,
accanto alla Persia e alla Scizia, anche Atene e Sparta e accanto al solo Erodoto anche Tucidide, ma soprattutto bisognerà introdurre due tecnologie fondamentali della guerra antica: le mura e le navi.

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