Götterdämmerung: La geopolitica di Olaf Scholz

Prima parte: Il problema tedesco e gli anni della Merkel

E’ il 2021, e Angela Merkel ha deciso di non ricandidarsi né alle elezioni per il bundestag, né tantomeno come cancelliera in pectore della CDU, mettendo di fatto fine a (o in pausa) la sua carriera politica per ritirarsi a vita privata.

Le elezioni vedono un ottimo risultato per l’SPD, che si prepara ad esprimere un cancelliere dopo ben 17 anni dalla fine del cancellierato di Gerhard Schroder, segnati dal lungo regno della mutti dei tedeschi. Quel cancelliere – che salirà al governo con una “coalizione semaforo” insieme a verdi e liberali – è Olaf Scholz.

Scholz non è un volto nuovo, né un uomo di rottura, nella Germania “merkeliana”: Infatti, ricopre il ruolo di ministro delle finanze – in stretta collaborazione con il falco della CDU Schauble – nonché vicepremier nell’ultimo gabinetto Merkel. Per 7 anni, dal 2011 al 2018, ricopre la carica di burgermeister di Amburgo – “capitale atlantica” della Germania – sede durante la guerra fredda di importanti interessi angloamericani (è proprio da lì che i genitori di Angela Dorothea Kasner, un pastore protestante e un’insegnante di inglese, partono alla volta della loro curiosa permanenza nel blocco orientale) ma oggi anche di importanti interessi cinesi, in quanto porto principale del paese giocoforza legato alla “nuova via della seta” di Pechino.


Scholz è un uomo profondamente integrato in quel “pentapartito” (CDU, CSU, SPD, liberali, verdi) che governa la Repubblica Federale Tedesca da dopo la seconda guerra mondiale in modo piuttosto collaborativo, che ha retto l’urto della fine della guerra fredda – paradossalmente, nonostante la rottura sia stata maggiore – molto meglio rispetto a quello italiano. Giunge al potere nel difficile inverno 2021, in cui la crisi del covid inizia a cedere il passo a quella ucraina: A soli due mesi dalla fiducia al suo gabinetto da parte del bundestag, i primi BTG russi iniziano a varcare i confini ucraini. Verrà subito messa alla prova la precaria posizione geopolitica della Germania, politicamente e militarmente legata a Washington ma economicamente legata a Mosca: La risposta sarà un continuo e snervante esercizio di equilibrismo, destinato a scontentare sia Kiev – da cui pioveranno continue accuse di codardia e talvolta ingiurie contro il cancelliere – sia per ovvi motivi Mosca, e a immettere benzina nel motore di Polonia, Cechia e Baltici, che potranno porsi (in realtà, confermarsi) come i veri – e più affidabili – interlocutori di Washington e Londra sul continente, a spese ovviamente della centralità della Germania nell’Unione Europea e in Europa in generale.

INTERESSI RUSSI E FEDELTA’ ATLANTICA

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Il forte legame energetico tra Russia e Germania – oggi arcinoto a tutti – motore dello sviluppo industriale tedesco dopo gli shock petroliferi mediorientali del 1973 e del 1979, viene promosso proprio dai primi due cancellieri dell’SPD della Repubblica Federale: Willy Brandt ed Helmut Schmidt negli anni ’70/’80, la cui Ostpolitik culminerà nel progetto Yamal – avviato negli ultimi mesi di vita di Brezhnev e fortemente contrastato dall’amministrazione Raegan, anche con un atto di sabotaggio – che sopravviverà, animata di vita propria dai nascenti legami economici, al ritorno al potere di una CDU fortemente antisovietica.
Verrà poi ampliato ulteriormente dal terzo cancelliere dell’SPD a inizio anni ‘2000, Gerhard Schroder – oggi lobbista non solo presso Gazprom, ma anche presso la banca Rotschild e la China Investment Company, in quanto uomo legato strettamente all’industria tedesca – che nelle ultime settimane del suo cancellierato darà la spinta definitiva (fornendo una garanzia statale) al finanziamento del gasdotto NordStream, che avrebbe fornito gas russo alla Germania attraverso il Mar Baltico. Un gasdotto progettato non solo per il suo percorso più diretto ed economicamente conveniente, ma anche in quanto geopoliticamente più sicuro, non dovendo attraversare il famoso intermarium di concezione mackinderiana, la “nuova europa” di Rumsfeld in sintonia con l’anglosfera e argine agli interessi sia russi che tedeschi, con in testa la Polonia.

Come l’Ostpolitik di Brandt e Schmidt, anche – soprattutto, visto il contesto politico di partenza molto più disteso dell’Europa dei primi anni ‘2000 – quella di Schroder crea interessi che si animano di vita propria, e continuano a svilupparsi anche durante i cancellierati della Merkel, in un certo senso costretta a non ostacolarla più di tanto nonostante le sue convinzioni personali, le sue alleanze politiche siano orientate verso il movimento neoconservatore americano, che a dispetto dell’ostentato (più che altro da Berlusconi) “spirito di Pratica di Mare” vede la Russia post-sovietica come un avversario – la cui sfera d’influenza va smantellata pezzo per pezzo, dall’Ucraina all’Asia Centrale passando per la Georgia – o meglio ancora come il paese vinto e sottomesso degli anni ’90, da inquadrare nell’impero europeo degli USA (in funzione di contenimento di una Cina in ascesa ma ancora non apertamente in rotta con Washington) sostanzialmente non lasciandogli altra scelta.

E’ emblematico infatti che il progetto di espansione del gasdotto NordStream – il NordStream 2 – non necessiti di nessuna garanzia governativa a differenza del suo predecessore, e venga interamente finanziato – nel 50% non di competenza di Gazprom – da compagnie energetiche private europee. Il governo tedesco deve solo, nel 2018, concedere (forse riluttantemente) il permesso di costruzione e (altrettanto riluttantemente e lentamente, fino allo stop formale a novembre 2021) certificare il gasdotto tramite una sua autorità “indipendente”.


Scholz, che proviene dallo stesso SPD di Schroder e nel 2019 aveva denunciato le sanzioni USA contro NordStream come “una seria interferenza negli affari interni e nella sovranità di Germania e Europa” – dunque presumibilmente sostiene anche dal punto di vista politico l’esistenza di legami con la Russia – si trova subito davanti ad un dilemma ancora più difficoltoso: Come bilanciare l’esistenza di – sempre più inconfessabili – pesanti interessi economici e quindi geopolitici che legano Germania e Russia, con una guerra per procura della NATO in Ucraina in cui non solo la partecipazione di Berlino è “fortemente richiesta” (e facilitata, facendo letteralmente saltare in aria i ponti che la legano con Mosca per prevenirne la riapertura) ma che rischia anche di sottrarre alla Germania il suo prezioso ruolo di organizzatrice dell’Unione Europea, soppiantata da una Polonia in ascesa e supportata da UK, USA, Francia e anche Italia. Il ruolo di dominus – che di fatto decide le regole – dello spazio economico più ricco al mondo costituisce il perno del suo successo commerciale, insieme al gas russo a basso prezzo (ora non più disponibile) e alla sinergia industriale con la Cina (ancora in vita ma con molti punti di domanda e, nel primo anno di guerra, inficiata dall’embargo anche noto come “zero covid”).

La situazione della Germania è oggettivamente difficile, la condotta di Scholz sarà ondivaga e a tratti apparirà patetica, rendendo Berlino bersaglio di invettive da Kiev, Mosca, Varsavia, Londra allo stesso tempo. Non riuscirà ad essere abbastanza filoucraina da garantire la posizione tedesca in Europa (di più su questo punto nei prossimi paragrafi) ma neanche abbastanza filorussa da parare l’urto di una guerra commerciale con un (ex) partner economico fondamentale.

Gerhard Schroder e Putin
Gerhard Schroder e Putin

NO SIGNIFICA… SI’

Consigli di lettura di Inimicizie

E’ il caso qui di riassumere la condotta tedesca durante la guerra in Ucraina con alcuni dati ed episodi.

Prima dell’invasione russa su larga scala il 24 febbraio, fluiscono già verso l’Ucraina armi dall’intermarium, dal Regno Unito, dalla Francia, dagli Stati Uniti. Un flusso che la Germania si rifiuta di alimentare – forse addirittura negando lo spazio aereo ai C-130 britannici che a gennaio trasportano armi in Ucraina – acconsentendo all’invio dei primi sistemi d’arma (leggeri) solo a deflagrazione ormai iniziata.

Lo stesso 24 febbraio, Scholz – con supporto italiano, ungherese e cipriota, riporta l’agenzia di OSINT legata all’intelligence britannica Bellingcat – dichiara la sua opposizione all’estromissione dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT di alcune banche russe, che però cadrà nel giro di pochi giorni.

Scholz inizialmente si rifiuta di visitare Kiev, a causa dello “schiaffo” ricevuto dal Presidente della Repubblica, Steinmeier – ex ministro degli esteri dell’SPD che per ultimo cercò di salvare gli accordi di Minsk con l’omonima formula – da parte di Zelensky, che rifiuta di riceverlo nella capitale ucraina ad aprile 2022, ritenendolo un politico troppo vicino a Mosca. Il moto d’orgoglio del Cancelliere tedesco dura però solo poche settimane: A giugno Scholz visita la capitale ucraina, dismettendo per l’occasione anche il “veto” tedesco alla concessione dello status di paese candidato per l’entrata nell’UE.

Già ad aprile Scholz sarà costretto a frenare sulle parole del suo ministro degli esteri (la verde, super-atlantista, Annalena Baerbock) riguardo la fornitura di veicoli corazzati all’Ucraina, in un dibattito che andrà avanti per mesi, per poi risolversi – ancora una volta – in un assenso.

Ancora il 19 gennaio 2023, ci chiedevamo su telegram quanto sarebbe durato il veto tedesco sui carri armati Leopard, considerando l’esito di quelli precedenti. La risposta arriva appena 5 giorni dopo, quando la Germania sbloccherà l’invio di centinaia di carri Leopard 2 a fronte del gesto simbolico americano di promettere l’invio di una manciata di Bradley, in data da definirsi.

Prevedibile, anche l’esito del medesimo dibattito sui caccia da combattimento, occasione peraltro di una curiosa volata in avanti del Presidente del Consiglio Meloni.

Questa condotta del governo tedesco non è dovuta all’opposizione dell’opinione pubblica – che almeno inizialmente è in maggioranza favorevole all’invio di armi, anche se la maggioranza diminuisce ad ogni gradino dell’escalation e con il passare del tempo – che invece era stata un fattore importante per la Merkel riguardo le avventure nel mondo islamico di Bush e Obama; ma ad interessi geopolitici più radicati, che consigliano prudenza a Berlino.

Christine Lambrecht, ministro della difesa tedesco che si dimette a gennaio 2023 per ragioni non chiare
Christine Lambrecht, ministro della difesa tedesco che si dimette a gennaio 2023 per ragioni non chiare

LA LOGICA DELLA ZEITENWENDE

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Quella che sembra delinearsi è una situazione in cui Berlino – almeno inizialmente – spera in una rapida fine del conflitto (se tramite mediazione, congelamento o capitolazione di uno dei due contendenti in fondo non importa) e in attesa dell’esito cerca di accreditarsi presso entrambi gli schieramenti. Da una parte la Russia – aldilà delle fantasie in voga da questo lato della cortina – non andrà da nessuna parte, come non andranno da nessuna parte i suoi depositi di materie prime, le ferrovie che la attraversano e raggiungono la Cina, il suo immenso spazio aereo cruciale per l’aviazione e nel prossimo futuro la sua lunga costa artica, che diventerà sempre più importante nella logistica globale. Anche nel caso limite in cui dovesse perdere Donbass e Crimea, non sarebbe verosimilmente governata da un Navalny che propugna resa incondizionata, controllo estero sulle dogane e riparazioni perpetue, ma invece da un Prighozhin, un Surovikin o un Kurenkov. Dunque necessario tutelarsi, anche se ormai solo con dichiarazioni di circostanza come l’invito a Kiev di non usare le armi a lungo raggio per colpire territorio russo.


D’altra parte, la guerra in Ucraina rappresenta oggi per la NATO quello che rappresentarono 100-150 anni fa la guerra di Crimea e la repressione dei Qing: Un barometro degli assetti di potenza interni all’alleanza nonché un’occasione per guadagnare posizioni all’estero anche in un’ottica di competizione con i propri alleati. L’attitudine di Berlino qua ricalca quella italiana rispetto all’intervento militare in Libia: Fosse dipeso dall’Italia, non si sarebbe fatto, ma messa davanti al fatto compiuto Roma ha ritenuto opportuno partecipare, per ottenere/mantenere delle posizioni in un paese strategicamente importante anche dopo la caduta di Gheddadfi.


Con un importante corollario: La Germania in Ucraina e nella competizione con la Russia nell’Est Europa ha interessi antichi. La condizione normale della Germania (posto che esista qualcosa del genere in geopolitica) va ricordato – a dispetto di una visione semplicistica che vede i due paesi come partner naturali – non è necessariamente quella di cooperazione con Mosca. Come ci insegnano due guerre mondiali, spesso i due paesi sono stati in aspra competizione per organizzare l’Est Europa. Come ci insegna Mackinder, la politica anglosassone non è sempre stata necessariamente volta ad impedire la cooperazione tra la nazione tedesca e quella russa – come avviene oggi – ma piuttosto a mantenerle separate e bilanciate, impedendo anche la sopraffazione di una sull’altra (come nelle guerre mondiali) con alleanze ed interventi militari.

Non è quindi fuori discussione che Berlino – che ormai è il terzo fornitore di armi all’Ucraina dopo US e UK, ed ha abbandonato quasi ogni sua riserva nel campo delle sanzioni alla Russia – abbia deciso di abbandonare sinceramente l’ipotesi di cooperazione con Mosca, per perseguire invece una strategia di penetrazione aggressiva nella sua sfera d’influenza, facilitata dalla cornice dell’impegno complessivo della NATO.

L’importanza della Russia per il modello economico tedesco può – o almeno questa è la speranza di Berlino – essere sostituita dall’integrazione dell’Ucraina, dalle spoglie multi-miliardarie della sua ricostruzione (posto che avvenga o che qualcuno la finanzi) ma anche – nell’ambito di una politica di più ampio respiro – da entrature nel Caucaso fondamentali dal punto di vista energetico, se l’influenza russa in quella regione dovesse retrocedere ulteriormente, o addirittura in Bielorussia o in una Moldavia integrata nell’Unione Europea, risolta manu militari la questione della Transnistria.

In effetti, la Germania ha sempre – usando le parole di Kissinger – “manovrato liberamente tra est e ovest” anche quando la sua amicizia con la Russia sembrava essere molto più forte di quanto non lo sia adesso: Si ricordi ad esempio il fatto che il pesante riarmo georgiano ordinato da Sakaashvili, in previsione del (fallito) tentativo di reintegrazione forzata dell’Ossezia del Sud, avvenne con il contributo fondamentale di addestratori ed armamenti tedeschi. Si pensi anche alla figura di Vladimir Klitschko, l’ex campione di box poi diventato sindaco di Kiev: La sua entrata in politica risale al periodo dell’Euromaidan; con il contributo fondamentale della Fondazione Konrad Adenauer e di vari viaggi “di accreditamento” in Germania. Forse l’elemento di prova più cristallino del suo debito politico verso Berlino è la sua brutale esclusione dal primo governo maidanista da parte degli Stati Uniti, immortalata nella famosa telefonata tra Victoria “fuck the EU” Nuland e l’ambasciatore statunitense a Kiev. La Germania coltiva quindi interessi propri in Ucraina, in competizione sì con quelli russi, ma anche con quelli angloamericani e polacchi, e li sostiene tramite il supporto a Kiev.

Del resto, i primi due prototipi di stato nazionale moderno ucraino nascono proprio grazie all’avanzata di armate tedesche: con il trattato di Brest-Litovsk prima, con l’armata insurrezionale del famigerato Bandera durante la seconda guerra mondiale poi.

La stessa cosa che a ben vedere avvenne in Yugoslavia, la cui crisi post-sovietica fu persino aperta dalla Germania – con il riconoscimento dell’indipendenza di Slovenia e Croazia – che sostenne poi con convinzione lo sforzo bellico della NATO (insieme, peraltro, all’Italia) per perseguire interessi nazionali propri a discapito di quelli russi, in uno spazio geografico in cui – neanche un secolo prima – iniziava la prima guerra mondiale nell’ambito di una sfida tra il “mondo tedesco” (Germania e Austria) e Mosca .

Non vi è nulla di particolarmente nuovo, quindi, nella Zeitenwende – la “svolta epocale” dichiarata da Scholz – della politica estera e militare tedesca: Si tratta “semplicemente” di un’oscillazione (lenta, ma sempre più decisa) del pendolo tra cooperazione russo-tedesca e aspra competizione tra Berlino e Mosca.

Astenendosi da giudizi di merito, questa sembra essere la ratio della politica estera di Scholz, apparentemente così difficile da decifrare.

Carri tedeschi in Macedonia, 1999
Carri tedeschi in Macedonia, 1999

… E I SUOI LIMITI

La posizione della Germania sembra essere ora ben definita, almeno fino alla fine delle ostilità attive, dopo le quali andranno fatte necessarie considerazioni, a seconda dell’esito. Rimane però una grossa incognita, potenzialmente un limite.

La Zeitenwende è stata ampiamente incoraggiata da Washington, che ha bisogno del sostegno del più importante paese dell’Unione Europea nella sua guerra per procura in Ucraina. E’ stata anche “aiutata” – se così si può dire – tramite il sabotaggio del gasdotto Nordstream (che toglie alla Germania la possibilità di una “pace separata” con Mosca, accettato dal mite cancelliere come fatto compiuto) e l’accensione di altri dossier come lo scandalo Wirecard – degenerato proprio nel 2019/20, quando Scholz è ministro delle finanze nel gabinetto Merkel – una compagnia tech tedesca posta sotto pesante inchiesta dal quotidiano londinese Financial Times (con anche il leak di documenti interni) e infine rivelatasi al centro di un’operazione d’influenza russa, con la fuga del COO, l’austriaco Jan Marsalek – uomo con importanti contatti con il GRU e il Gruppo Wagner – in Bielorussia.

C’è però sicuramente un limite a quanto Washington possa permettere alla Germania di ottenere dal suo convinto impegno in Ucraina. Secondo la visione strategica americana, il paese deve far parte di quella “cintura di stati indipendenti” tra il Mar Nero e il Mar Baltico, argine sia all’influenza russa che a quella tedesca, che rappresenta il vero baricentro strategico anglosassone sul continente. Non sarà possibile accettare – un domani – un’Ucraina governata da “un Klitschko” (ricordiamo: Escluso dalla Nuland dal primo governo maidanista) e rivolta verso Berlino. Non sarà possibile accettare che la ricostruzione del paese venga “commissariata” dalla Germania: In effetti, di questo Washington si è già assicurata, con la messa a contratto – completamente “gratis” – del potente fondo d’investimento Blackrock da parte di Kiev in un ruolo di coordinazione dei finanziamenti e degli investimenti esteri nel paese.

Dal riuscito rovesciamento violento di Yanukovich nel 2014 e successiva guerra civile/annessione della Crimea – che segna l’uscita di gran parte dell’Ucraina dalla sfera d’influenza russa – la retrocessione di Mosca non deve dunque essere viatico per un’eccessivo avanzamento di Berlino, pena quell’egemonia tedesca in Europa Orientale che da sempre la strategia anglosassone teme.

Fino a dove potrà arrivare quindi la Zeitenwende? Proseguirà anche dopo la fine delle ostilità? Riuscirà a superare l’opposizione sia russo(cinese) che polacco-statunitense ad una maggiore penetrazione tedesca nelle storiche aree di competizione con Mosca?

Scholz sembra piuttosto convinto di aver scelto il corretto corso d’azione, ed è stato disposto a subire umiliazioni come il terrorismo verso un’infrastruttura strategica, la prodigalità verso un paese che rifiuta di ricevere il Presidente tedesco e il cui ambasciatore chiama il cancelliere “permalosa salsiccia di fegato”, la (finta) alleanza con una Polonia – dove, significativamente, Scholz compie il suo primo viaggio da Cancelliere – che pretende, strumentalmente e offensivamente, 1000 miliardi di euro in riparazioni per la seconda guerra mondiale.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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