La sommossa kazaka

Nella notte (ora italiana) del 4 gennaio 2022, sono scoppiate enormi proteste in Kazakistan che hanno fatto subito il giro del mondo.

Le proteste, iniziate per un aumento del gas ad uso automobilistico, sono presto diventate violente, in particolar modo nella principale metropoli del paese: Almaty.
I manifestanti sembrano aver preso di sorpresa il governo e le forze di sicurezza, cacciandole di fatto dalla città ed occupando, dando alle fiamme, vari uffici governativi. Convogli militari vengono fermati dai cittadini e disarmati, forze di sicurezza disertano e si uniscono alle proteste.

Subito, dall’estero, si propongono varie letture delle proteste, senza però trovarne una che sia veramente convincente: C’è chi dice che i manifestanti chiedano solo migliori condizioni di vita e chi paragona la ribellione al maidan ucraino, citando presunti comunicati che chiedono l’annullamento di tutti gli accordi firmati con la Russia.

In tutto ciò, passa in sordina una notizia (non sul canale telegram di Inimicizie, naturalmente).
La notizia riguarda Nursultan Nazarbayev, il padre fondatore del Kazakistan moderno: Ex segretario del Partito Comunista, diventa Presidente dall’indipendenza del paese fino all’inizio di una transizione nel 2019. Questa transizione prevede, oltreché il cambio di nome della capitale Astana in “Nur Sultan” (oggi si chiama nuovamente “Astana) le sue dimissioni da Presidente e la creazione di un organo ad hoc – il “Consiglio di Sicurezza” – di cui Nazarbayev si autonomina reggente a vita. Una sorta di Politburo che dovrebbe avere il compito di tracciare la direzione del paese, rimanendo una costante anche con il susseguirsi di vari governi.

Ebbene, durante le sommosse, Nazarbayev viene esautorato dal suo posto di “timoniere a vita” e sostituito dal Presidente del Kazakistan, un uomo del suo stesso partito: Kassym-Jomart Tokayev.

Il 6 gennaio – dopo consultazioni con Putin e Lukashenko – Tokayev chiede aiuto al CSTO, la NATO eurasiatica a trazione russa, che invia una missione di peacekeeping a cui partecipano Russia, Bielorussia, Kyrgyzistan e Armenia. Quest’ultima prende la guida simbolica della missione (questo non è un fatto irrilevante, evidentemente Pashinyan sente la necessità di accreditarsi come fedele alleato russo). Le truppe del CSTO – svolgendo compiti di guarnigione nelle retrovie della sommossa – “liberano” le mani delle forze di sicurezza kazake, che quindi sono in grado di lanciare un assalto per riprendere il controllo della metropoli di Almaty. Nel giro di pochi giorni, la situazione è completamente stabilizzata.

Almaty in fiamme durante le proteste, gennaio 2022
Almaty in fiamme durante le proteste, gennaio 2022

L’IMPORTANZA GEOPOLITICA DEL KAZAKISTAN

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Il Kazakistan – con un terzo della popolazione italiana ma con una superfice 10 volte maggiore – è un paese poco conosciuto nella cultura di massa occidentale, ma dalla straordinaria importanza geopolitica.

E’ un paese che, pur mantenendo uno stretto legame, mai messo in discussione dal punto di vista politico-militare, con la Russia, conduce una politica commerciale estremamente multilaterale. L’Unione Europea – verso cui esporta principalmente petrolio e altre materie prime – è il suo principale partner commerciale, ma è contemporaneamente un paese chiave (il paese chiave, si potrebbe dire, siccome è partita proprio da lì) della “Belt and Road Initiative”, la nuova via della seta cinese. Attraverso il Kazakistan passano i nuovi treni merci ad alta velocità cinesi, che poi proseguono verso la Russia oppure vengono scaricati nei porti del Mar Caspio per raggiungere il Caucaso.

Attraverso il paese transitano anche i gasdotti che collegano Russia e Cina con Kyrgyzstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tajikistan, ma non solo. Il Kazakistan è anche dotato di enormi riserve, oltreché di petrolio, di minerali – sempre più cruciali nella competizione globale – tra cui anche le tanto ambite terre rare. E’ una nazione la cui importanza non va sottovalutata.

Lo spiccato multipolarismo del Kazakistan diventerà ancora più evidente con la guerra in Ucraina: Astana si impegna in un difficoltoso gioco di bilanciamento, partecipando limitatamente alle sanzioni ma cercando di non alienare completamente la Russia, cercando di porsi sia come porto franco per il commercio ombra tra Russia e UE, che anche come rivale della Russia nel commercio su rotaia da Est a Ovest dell’Eurasia.

UNA NUOVA MAIDAN? PROBABILMENTE NO

Consigli di lettura di Inimicizie

Si sono da subito sprecati i paragoni tra la rivolta kazaka e l’euromaidan ucraino. Sembra però che, nonostante ci siano effettivamente dei punti di contatto, il paragone non sia adatto.

Ma prima di spiegare perché, vediamo i punti di contatto.

Vanno ad esempio segnalati gli “investimenti” del National Endowment for Democracy in Kazakistan nel 2020 e negli anni precedenti. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un programma del governo americano il cui scopo è quello di promuovere la nascita di, e poi sostenere, governi filo-americani laddove non ve ne siano ancora. Per stessa ammissione degli statunitensi, il suo ruolo è quello di svolgere “in chiaro” le stesse attività che durante la guerra fredda venivano svolte segretamente dalla CIA.
Ha avuto un ruolo predominante nell’ascesa al potere di Aung San Suu Kyi in Birmania, Pashinyan in Armenia (con le note conseguenze) e naturalmente dei maidanisti in Ucraina. Siamo davanti ad una prova tangibile del fatto che quantomeno ci sia stato un tentativo americano di influenzare il corso politico del Kazakistan.

Inoltre, vediamo testimonianze da parte di rivoluzionari filo-occidentali bielorussi e ucraini di come abbiano lavorato con, formato e addestrato le loro controparti kazake.

Ovviamente, si è anche subito attivata la macchina politico-mediatica di tutti i cambi di regime filo-americani, il braccio mediatico e di pubbliche relazioni della politica estera statunitense. Partendo da Radio Free Europe / Radio Free Asia ed emittenti collegate – passando da ferrei agenti della NATO come Enrico Letta e il gruppo GEDI in Italia – arrivando infine all’amministrazione americana vera e propria. I presupposti, insomma, ci sono tutti.

C’è solo un problema: I kazaki non sono gli ucraini.
Il Kazakistan è in una situazione demografica simile all’Ucraina: Una minoranza russa popola le aree contigue al confine, e ci sono dispute territoriali simili a quelle inerenti la Crimea, ma la somiglianza finisce qui.

Mai avremmo potuto vedere, ad esempio, il segretario di un partito di destra polacco arringare la folla – come Kazczynsky in effetti fece durante l’Euromaidan – mai i kazaki potrebbero chiedere di entrare nella NATO.
L’opposizione politico-ideologica kazaka, posto che ve ne sia una (ricordiamo che stiamo parlando di aumento del prezzo del gas, non di accordi politico-economici con l’UE) è piuttosto di matrice filo-turca e tendente all’islamismo (non che per chi ha di fatto creato l’ISIS questo sia un problema) laddove non addirittura filo-comunista e nostalgica dell’URSS.
Gennady Zyuganov – il segretario del partito comunista russo – non certo un atlantista, fa appunto notare come la protesta sia nata da una gestione oligarchica e clientelare dell’industria energetica, successiva alla privatizzazione, e non vada interamente condannata con “pretesti” di politica estera.

E’ un’idea più convincente di un presunto anelito kazako verso l’occidente, sicuramente.
Non significa che la NATO non provi a “metterci il cappello” in corso d’opera o a cose fatte, ma evidenzia una matrice del tutto diversa rispetto a quella che diede vita al maidan ucraino.

Il terminal ferroviario di Khorgos, sul confine sino-kazako, punto di snodo fondamentale della nuova via della seta
Il terminal ferroviario di Khorgos, sul confine sino-kazako, punto di snodo fondamentale della nuova via della seta

NAZARBAYEV

La rimozione di Nazarbayev ci da un ulteriore motivo per non pensare che la sommossa kazaka sia stata principalmente legata alla politica estera.

L’autogolpe di Tokayev non può essere un fatto di poco conto, considerando che l’ex Presidente era senza dubbio – fino a poco tempo fa – l’uomo più potente del Kazakistan. Brezhnehev laddove Tokayev era Kosygin, Putin laddove Tokayev era Medvedev.

La sua rimozione, unita alla peculiarità della violenza ad Almaty – che quasi sembra stata pianificata – ed all’arresto del capo dei servizi di sicurezza, fa pensare anche ad un regolamento di conti interno al sistema di potere kazako, come fa notare Marco Bordoni, con Tokayev che ora diventa definitivamente “Re della Steppa” e prende il controllo di quella transizione di potere che Nazarbayev pensava e sperava di guidare dalla sua cabina di regia costruita ad hoc.

La crisi sembra quindi nascere nei palazzi del potere del Kazakistan.

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L’INTERVENTO DEL CSTO

E’ pur vero che questa lettura prettamente “endogena” delle proteste kazake sembrerebbe essere contraddetta dall’intervento russo e del CSTO.

Certamente la Russia (e non solo, anche la Cina) ha visto in queste sommosse lo spettro dell’Euromaidan, l’ha dichiarato, ed ha agito di conseguenza, prevenendo un possibile disastro geopolitico ed un’ulteriore minaccia al suo territorio. Ancor di più l’ha visto Lukashenko, minacciato da un suo particolare “maidan” in salsa bielorussa poco tempo prima, e nel pieno di una delicata contesa con la Polonia e la NATO.

Sarebbe riduttivo, però, ridurre la motivazione dell’intervento russo (che precisiamo, è stato richiesto da Tokayev, non un burattino ma un attore indipendente con una sua base di potere locale) alla paura di un’incursione della NATO nel suo ventre molle centroasiatico.

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Il confine Russia-Kazakistan è il più lungo al mondo, una guerra civile o una crisi umanitaria avrebbero creato un’enorme flusso di profughi, migranti e forse anche militanti islamisti attraverso un confine praticamente impossibile da controllare, creando non pochi problemi alla Russia.

La Russia avrebbe molto da perdere con un Kazakistan destabilizzato, anche se questa destabilizzazione non fosse necessariamente favorevole alla NATO. La Russia estrae uranio per le sue centrali nucleari in Kazakistan, e a Baikonour si trova la centrale di lancio del suo programma spaziale, cruciale nella competizione con l’anglosfera.

Anche la Cina ha sponsorizzato l’intervento – dando vita a quella che potremmo chiamare “dottrina Yi-Lavrov” – sulla base della pericolosità della destabilizzazione potenziale dell’Asia Centrale, e soprattutto del Kazakistan, in ottica via della seta.

La chiave di lettura più convincente per la sommossa kazaka sembrerebbe essere quindi la seguente: Una protesta spontanea, nata da insoddisfazioni economiche dei kazaki, sfruttata da Tokayev per portare a termine un auto-golpe contro Nazarbayev, accettato e verificato come fatto compiuto dalla Russia; che inoltre ha subito voluto stabilizzare il paese, per evitare che la crisi si ripercuotesse aldilà del confine e per prevenire infiltrazioni della NATO in Asia Centrale (di cui qualche avvisaglia era in effetti presente) ratificando la nuova situazione di fatto con un intervento di peacekeeping.

Tokayev insieme a Putin
Tokayev insieme a Putin

14 pensieri riguardo “La sommossa kazaka

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