PARTE PRIMA
Nel 1997, quando viene firmato l’accordo di pace definitivo tra Mashkadov e Yeltsin, la Cecenia è un paese distrutto: Il costo della ricostruzione veniva stimato a circa 300 milioni di dollari, le pensioni non venivano pagate, la disoccupazione aveva raggiunto l’80% con una popolazione dedita principalmente alla sussistenza se non al vero e proprio banditismo.
Nonostante ciò, la sfida principale per Mashkadov fù da subito quella di riunire i signori della guerra che avevano condotto in modo semi-autonomo la guerra contro la Russia dentro l’alveo dello Stato, in sostanza, di stabilire un monopolio sull’uso della forza, cosa che ogni Stato funzionante ha.
In breve: Non gli riuscì. Molti di questi signori della guerra rifiutarono di sottomersi all’autorità di Mashkadov, e trovarono invece una sponda nell’estremismo islamico, in costante crescità in Cecenia come nel resto del Caucaso. Uno di questi fu Barayev, che arrivò allo scontro armato con le forze di sicurezza dello Stato nel suo “feudo” di Urus-Martan, e che fu accusato del rapimento e dell’uccisione di 4 ingegneri inglesi.
Di questa frangia di signori della guerra “ribelli” faceva parte anche il già citato Basayev, alleato dell‘Emiro Khattab, ex mujaheddin afghano e membro di Al-Qaeda, arrivato in Cecenia nel 1995 con lo scopo di sobillare una rivolta jihadista in tutto il Caucaso. Obiettivo se vogliamo diametralmente opposto alla causa nazionalista cecena, rappresentata dal governo di Mashkadov.
I due formarono nel 1998 la “Brigata islamica internazionale di peacekeeping” (BIIP) – che avrà un ruolo fondamentale nella prossima guerra – le cui forze, già prima della sua formazione ufficiale, nel 1997 avevano condotto un raid contro una base militare russa aldilà del confine ceceno.

LA SCINTILLA
Nel 1999 la BIIP, insieme alle forze dell'”emiro” dagestano Bagauddin Magomedov, lancia un attacco dalla Cecenia al Dagestan per stabilirvi un emirato islamico, con circa 1500 combattenti ceceni, dagestani e arabi.
L’avanzata verrà rallentata da una tenace resistenza locale, probabilmente memore delle tragedie ai danni di civili verificatesi a causa delle incursioni cecene durante la guerra finita solo tre anni prima. Questo rallentamento permetterà alle forze federali di intervenire in modo decisivo, e respingere i jihadisti aldilà del confine.
A poco serviranno i tempestivi – e sinceri – tentativi di Mashkadov di smarcarsi dall’incursione: Vladimir Putin, appena diventato Presidente, aveva bisogno di un casus belli per riprendersi la Cecenia. E l’aveva ottenuto.
La campagna russa iniziò con un bombardamento. Inizialmente focalizzato sulle roccaforti dei jihadisti in ritirata dal Dagestan, il suo raggio si ampliò rapidamente fino ad includere la stessa Grozny. Solo questa campagna di bombardamenti causò l’esodo di circa 1/4 della popolazione cecena.
L’1 ottobre Putin dichiarava illegittimo il governo di Mashkadov e riaffermava il pieno controllo costituzionale della Russia sulla Cecenia.
L’assalto terrestre fu molto diverso rispetto a quello della prima guerra: Le 90mila truppe di esercito e ministero dell’interno che parteciparono non si lanciarono in un (fallimentare) blitzkrieg verso Grozny. Decisero, invece, di conquistare il paese per cerchi concentrici, chiudendo i confini per poi muoversi gradualmente, ma inesorabilmente, verso il centro.
L’intervento russo però non differisce dal primo solo dal punto di vista strategico ma anche, soprattutto, dal punto di vista della qualità delle truppe e delle tattiche impiegate.
Già nel 1999, l’esercito russo si trovava in una situazione decisamente migliore rispetto al 1993, poteva vantare diverse unità di elite e aveva fatto tesoro delle lezioni del precedente conflitto: Se colpito da attacchi a sorpresa, non si sarebbe più ritirato disordinatamente all’interno delle basi, ma si sarebbe ritirato su posizioni difensive per poi sgombrare il campo con ampio uso di artiglieria e bombardamenti aerei, senza badare ad eventuali vittime civili.
LA TERZA BATTAGLIA DI GROZNY
Al 15 ottobre, ormai due settimane dopo l’inizio dell’avanzata russa, la resistenza cecena non si presentava in modo particolarmente tenace.
Mashkadov, infatti, sperava di poter trovare una soluzione negoziale con i russi, persuadendoli della sua inimicizia nei confronti delle forze di Basayev e Khattab, ma questo non fu possibile. Solo quando le forze russe tentarono di attraversare il fiume Terek, ovvero il “confine” naturale di Grozny, Mashkadov si decise a dichiarare la legge marziale e a proclamare un gazavat (termine locale sinonimo di jihad) contro l’occupante russo, diventando quindi alleato dei signori della guerra che fino al giorno prima aveva combattuto.
I russi fecerono un gran lavoro di consolidamento prima di dedicarsi all’assalto di Grozny, cosa che mancò del tutto durante il primo disastroso assalto. Particolarmente importante – in tal senso – fu il reclutamento del clan Yamadayev e la conseguente formazione del battaglione Vostok, una forza indigena filorussa coordinata dal GRU (servizi segreti militari) che rivedremo, anche se naturalmente rimodellata, nelle battaglie dell’aereoporto di Donetsk, durante la guerra del Donbass.
L’assalto vero e proprio alla capitale non cominciò prima dell’11 Dicembre quando, le forze russe – dopo aver bombardato per due mesi la città e aver catturato tutti i villaggi limitrofi – diedero un ultimatum ai ribelli.
L’assalto fu guidato dal Generale Kvashnin, sorprendentemente colui che guidò anche il primo assalto del ’94. Sotto il suo comando: Circa 5000 regolari dell’esercito russo, supportati da 2000 miliziani ceceni assortiti, armati solamente con vecchi Ak-47.
I russi incontrarono una resistenza feroce e – nonostante fossero meglio equipaggiati per affrontarla – non riuscirono a lanciare un attacco decisivo verso il centro della città prima del 15 gennaio.
La città fu dichiarata “liberata” il 6 febbraio, dopo che la maggior parte dei ribelli (non morti in battaglia) decise di abbandonare la città a partire dalla fine di gennaio.
Nonostante le parate vittoriose, però, è quasi impossibile descrivere quanto fosse deprimente, difficile, insostenibile la condizione della capitale cecena. Una città un tempo abitata da 400mila persone ora ne ospitava 20mila, costrette a dormire tra le macerie e a rovistarvi per trovare qualcosa da mangiare. I russi e i ceceni filo-russi si vendicarono delle rappresaglie successive alla seconda battaglia di Grozny con nuove rappresaglie: Presunti ribelli o collaborazionisti venivano prelevati per strada e portati verso “campi di filtrazione”, qualora non fossero direttamente giustiziati sul posto. Ogni luogo della città veniva saccheggiato. Gruppuscoli di ribelli rimasti nella città realizzavano imboscate ed attentati. Il paragone con Stalingrado forse è addirittura riduttivo.

DOPO GROZNY
Altri villaggi furono addirittura meno fortunati di Grozny.
Komsomolskoye, ad esempio – paese natale del signore della guerra Ruslan Gelayev – fu attaccato dai russi quando quest’ultimo cercò di fuggire verso le montagne. Venne raso completamente al suolo, in una battaglia che costò la vita a 552 ceceni e più di 50 russi.
L’insurrezione – dopo la battaglia di Grozny – si spostò nel sud montuoso del paese.
Nonostante ciò, già nel 2000 la Russia dichiarò il controllo diretto della Cecenia, installando Akhmad Kadyrov – capo di una milizia cecena filorussa – come capo di governo ad interim.
I ribelli ceceni – ormai incapaci di affrontare Mosca direttamente – passarono nuovamente alle tattiche terroristiche. Putin però – ancor più dei suoi predecessori – si dimostrò inflessibile.
Gli attacchi più noti sono quelli al teatro Dubrovka del 2002 e alla scuola elementare di Beslan nel 2004. Entrambi si conclusero con assalti russi e ci furono centinaia di morti, molti dei quali bambini.
Nel 2007, quando Ramzan Khadyrov diventa Presidente – 3 anni dopo l’uccisione di suo padre in un attentato – le forze ribelli sono ormai ridotte all’osso; i loro comandanti uccisi e le loro roccaforti occupate dalle forze federali, dal battaglione vostok, dai “Khadyrovtski“. L’operazione anti-terrorismo cessa di esistere con una sobria conferenza stampa, nel 2009.
Le cifre variano, ma si stima che di tutti gli abitanti della Cecenia durante l’Unione Sovietica, circa la metà siano diventanti rifugiati ad un certo punto delle due guerre, e tra il 10 e il 25% siano stati uccisi.
Per quanto riguarda i ribelli, l’Emirato del Caucaso fondato nel 2007, continuò la sua campagna di attentati contro la Russia anche dopo il 2009, per poi venire assorbito dal Vilayat Kavkaz, l’ISIS nella provincia del Caucaso (inutile dire chi ha supportato questo sviluppo), a partire dal 2015 e continuare la sua campagna di terrorismo (invero, a bassa intensità) in Cecenia, Dagestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria.
La Cecenia però, sotto la guida (e il pugno di ferro) di Khadyrov e Putin, sembra aver finalmente ritrovato la stabilità di cui godeva durante l’era sovietica.
Grozny oggi è abitata da quasi 300k persone. Visitandola, si possono vedere grattacieli, appartamenti moderni, oltreché la moschea Akhmad Khadyrov – una delle più grandi d’Europa – costruita nel 2009.
Se quello conclusosi 10 anni fa sarà l’ultimo tentativo insurrezionale dei ceceni, però, non ci è dato saperlo.

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