DI DAVIDE RIVA
Questo pezzo è un contributo esterno, che non rispetta necessariamente il punto di vista dell’editore
Ci siamo lasciati nell’ultimo articolo con la Libia di Gheddafi sotto il peso della comunità internazionale, dopo la fine della guerra fredda.
Alla fine, le pressioni ebbero successo, alcuni terroristi furono consegnati, compresi quelli coinvolti nell’attentato di Lockerbie, e il programma di armi di sviluppo di armi di distruzione di massa fu arrestato.
Come già detto, nel suo ultimo decennio al potere, Gheddafi cercò di diventare un alleato dell’Occidente nella lotta contro gli estremisti islamici, ed uno dei baluardi della stabilità africana e mediorientale.
Furono firmati importanti accordi commerciali con la Libia da parte dei maggiori stati europei: In particolare, è nota l’amicizia personale tra il Rais e il Presidente Berlusconi. I due firmarono nel 2008 a Bengasi il Trattato di Amicizia Italo-Libico, il quale sanciva la definitiva risoluzione della questione coloniale, e dava inizio ad un rapporto di partnership che si concretizzava nella costruzione da parte dell’Italia di importanti infrastrutture sul territorio libico, in cambio di forniture di petrolio e gas, e l’impegno (sempre rispettato) della Jamahiriya nella lotta contro l’immigrazione clandestina.
Arriviamo così al 2011, anno delle primavere arabe: In Tunisia Ben Alì venne costretto alla fuga, i militari egiziani costrinsero Mubarak alle dimissioni e in Siria si stavano preparando i presupposti per la guerra civile.
In Libia, scenari simili sembravano impossibili. Secondo gli analisti dell’epoca, il governo di Gheddafi avrebbe dovuto al massimo affrontare qualche sciopero ma, tutto sommato, il suo paese sarebbe dovuto essere immune al “contagio” perché, nonostante la crisi economica che imperversava, i libici potevano contare sui migliori standard di vita di tutta l’Africa. Difficilmente avrebbero abbandonato questo privilegio, si pensava.
Nonostante le previsioni però, a febbraio 2011, in Cirenaica ed in particolare modo a Bengasi, cominciarono le prime manifestazioni contro l’aumento del prezzo dei beni essenziali. Manifestazioni gia da subito partecipate da Fratelli Mussulmani ed al-Qaeda, che vedevano in Muammar Gheddafi uno dei nemici più irriducibili.

Rapidamente la protesta si espanse anche ad altre città, pochi giorni dopo, infatti, insorse Misurata.
Il Colonnello rispose inviando divisioni dell’esercito e mercenari per reprimere le rivolte, buttando benzina sul fuoco della rivolta, il che portò numerosi soldati e generali alla defezione in favore dei ribelli.
A sostegno di Gheddafi arrivarono, tra l’altro, alcune formazioni dell’esercito ciadiano, inviate da Idris Deby, il quale doveva la sua ascesa al potere al sostegno dei libici durante la guerra civile in Ciad.
Dopo una iniziale avanzata dei ribelli, che erano arrivati a minacciare la mezzaluna petrolifera e la periferia della capitale, l’esercito libico, con l’aiuto dell’aviazione respinse gli insorti, e riuscì a riconquistare la maggior parte del territorio occidentale, prendendo il controllo di Misurata (salvo alcune sacche di resistenza nel centro città) e circondando Bengasi, ultima roccaforte in mano ai ribelli.
La guerra civile, dopo poche settimane, sembrava finita, e le principali tribù libiche rimanevano fedeli al governo.
A questo punto, i ribelli fecero appello alla comunità internazionale per fermare quello che, secondo loro, sarebbe stato un genocidio (probabilmente a ragione, vista la necessità di Gheddafi di riaffermare il suo potere incontrastato).
La NATO, su iniziativa di Francia e Gran Bretagna, si fece promotrice di una risoluzione delle Nazioni Unite; che istituiva una No-fly zone su tutta la Libia, indirizzata a qualsiasi aereo militare o civile di qualsiasi bandiera. La Russia venne persuasa da Joe Biden, allora vice-Presidente di Obama, ad appoggiare la risoluzione, in cambio della garanzia del non-intervento armato contro Gheddafi.
La risoluzione venne approvata insieme a un pacchetto di sanzioni contro il governo del Rais, nella realtà però la No-fly zone venne rispettata solo dai lealisti che, consci della loro inferiorità aerea rispetto agli occidentali, non avevano più scatenato attacchi aerei, e avevano cercato di trattare con i ribelli il cessate il fuoco, mentre quest’ultimi per tutta risposta usarono la loro (seppur limitata) forza aerea sotto la protezione delle nazioni occidentali.
Dopo innumerevoli violazioni da parte dei ribelli della risoluzione dell’ONU, e dopo la loro avanzata sia a Misurata che in Cirenaica, i lealisti decisero di riprendere gli attacchi aerei. Questo fatto legittimò, agli occhi dell’opinione pubblica occidentale (accuratamente plasmata per l’occorrenza), un intervento armato della NATO per fermare l’esercito di Gheddafi. Fu’ così che il 19 marzo 2011 i Francesi, in violazione della risoluzione ONU, iniziarono la campagna di bombardamenti, seguiti poche ore dopo da americani e inglesi.
L’ Italia, inizialmente, rimase a guardare. L’allora Premier Silvio Berlusconi non aveva intenzione di tradire un amico e alleato, arrivando fino a minacciare le dimissioni dal capo dello Stato (Napolitano) durante una riunione d’emergenza del Consiglio Superiore di Difesa, se ci fossero stati attacchi aerei da parte dell’aeronautica italiana. Solo quando capi che la NATO non si sarebbe fermata Berlusconi, non senza rammarico, acconsentì all’uso della base di Sigonella, a svolgere delle ricognizioni aeree, e in alcuni casi a bombardamenti che comunque furono limitati ai Radar e non alle forze militari lealiste.
Con la copertura degli aerei occidentali, i ribelli ripresero la loro avanzata. A Bengasi venne rotto l’assedio, Misurata venne liberata e in pochi mesi, le truppe del CNT (Comitato Nazionale di Transizione) raggiunsero Tripoli e la espugnarono.
Con la caduta di Tripoli si persero le tracce di Gheddafi. Alcuni suggerirono che fosse fuggito in Venezuela da Chavez (adducendo come prova la presenza all’aereoporto di Tripoli di un aereo di Caracas) altri sostennero che fosse morto, altri ancora che fosse scappato nel deserto. Ebbero ragione quest’ultimi.
L’ormai ex Rais era scappato nella sua città natale, Sirte, unica Roccaforte rimasta insieme a Bani Walid (che non cadde mai nelle mani dei ribelli). Il 20 ottobre venne raggiunto dalle truppe del CNT, dopo il bombardamento del suo convoglio da parte di aerei francesi.
La sua morte è avvolta nel mistero: I ribelli accusano la sua scorta di averlo ucciso, altri sostengono che sia stato colpito a morte durante uno scontro a fuoco, altri esperti suggeriscono, invece, che sia stato catturato vivo, anche se ferito, e successivamente torturato e ucciso.
Gli ultimi momenti della vita Colonnello Gheddafi, l’uomo che creò la Libia moderna, che fù per anni un nemico dell’Occidente, ma in seguito amico fidato dell’Italia, vennero immortalati in un video che in poche ore fece il giro del mondo. Si dice che impressionò e inorridì profondamente il Presidente russo Putin, che non si perdonò mai l’aver permesso una tale carneficina (nei confronti di un alleato della Russia) e che, in seguito, cambiò decisamente il suo approccio, per evitare che anche il Presidente siriano Assad facesse la stessa fine del Colonnello.

Attorno all’intervento della NATO in Libia aleggiano ancora molte questioni, molte delle quali rimaste irrisolte.
La prima è: perché le nazioni occidentali hanno attaccato un paese stabile e loro alleato nella guerra al terrorismo islamico? Non esiste una sola risposta ma, in generale, possiamo dire che se la motivazione di inglesi e americani fosse, semplicemente, la volontà di “farla pagare” ad un regime ostile, per la contrapposizione durante la guerra fredda, installandone uno fantoccio, per la Francia invece bisogna fare un discorso più complesso.
In primo luogo, il Presidente Sarkozy, poteva voler mettere a tacere una voce scomoda, che lo vedeva ricettore di milioni di euro, da parte di Gheddafi, con cui avrebbe poi finanziato la campagna elettorale per l’Eliseo. In secondo luogo, si rileva l’opposizione di Gheddafi al progetto neo-coloniale francese che, con il Franco CFA (che Gheddafi sperava di riampazzare con un Dinar panafricano) tiene sotto controllo molti paesi dell’Africa centrale e occidentale. In terzo luogo invece, l’attacco a Gheddafi, fu senza dubbio una mossa per scalzare l’ultimo regime filo-italiano nel Nord-Africa dopo la cacciata di Ben Alì (messo al potere dal SISMI) e la caduta di Mubarak, in modo da assicurare alla Total il controllo dei pozzi petroliferi in concessione all’ENI (progetto che, fortuitamente, non certo per meriti italiani, non riuscì del tutto).
Questo ci fa capire perché, nel commentare la notizia della morte del Colonnello, Berlusconi commentò con un laconico ” Sic transit gloria mundi”.
Ma come hanno fatto, i ribelli e gli aerei francesi, a raggiungerlo dopo che aveva fatto perdere le sue tracce? Non ci sono conferme, ma secondo una teoria sostenuta da al-Obeidi, membro del Consiglio Nazionale Siriano, i ribelli libici stavano cercando Gheddafi a sud, nel Fezzan, e non a Sirte, dove in realtà era, e dalla quale era in contatto con i membri del suo governo rifugiatisi a Damasco. Uno di questi, Yusuf Shakir, sarebbe stato il tramite tra il Rais e il presidente Siriano Assad che, in cambio dell’assicurazione da parte francese di non essere attaccato, inviò il numero di Gheddafi a Parigi, la quale riuscì a localizzarlo e colpirlo.
Sono passati ormai 10 anni da quel giorno di ottobre, 10 anni in cui la guerra civile non si è mai fermata neanche un momento. Tutt’ora, nonostante l’accordo di pace, si combatte: Da una parte i Fratelli Mussulmani e gli estremisti islamici che si sono raccolti sotto il Governo a Tripoli, dall’altra gli ex-lealisti, l’esercito e milizie tribali, che combattono in nome di Kalifah Haftar, un tempo braccio destro e probabile successore di Muammar Gheddafi.
Fra un anno ci dovrebbero essere le elezioni presidenziali, e tra i candidati c’è anche Saif al Islam, figlio del Rais che per 40 anni governò la Libia. Chissà se la storia riuscirà a sistemare il disastro inglese, francese ed americano, riportando sul trono di Tripoli un Gheddafi.

10 pensieri riguardo “Gheddafi, sic transit gloria mundi [2/2]”